di Raffaella Cosentino
Questo scatto del primo giorno di scontri, di Franco Cufari per l’Ansa, diventa il simbolo della rivolta di Rosarno, ma finisce sui principali quotidiani alcuni giorni dopo. La rivolta è un caso del 2010 di cui è utile procedere all’analisi sia per comprendere il comportamento dei media davanti ai “riot” urbani, come gli scontri di Tor Sapienza del 2014, sia per la complessità dei temi che coinvolge: lavoro nero, sfruttamento, razzismo mafioso, legislazione sull’immigrazione, scontro politico.
Rosarno è una cittadina della Piana di Gioia Tauro, in provincia di Reggio Calabria, dove, nel gennaio 2010, i braccianti stagionali africani si ribellarono allo sfruttamento e ai proiettili della ‘ndrangheta, la potente mafia calabrese. La vicenda è nota in tutto il mondo. Le cause che hanno dato origine alla rivolta di Rosarno sono di vario tipo: economiche, culturali, politiche e sociali.
Lo sfruttamento della manodopera straniera e la crisi del mercato il controllo mafioso sulla filiera di produzione degli agrumi e la violenza xenofoba che colpiva i migranti africani; l’indifferenza delle istituzioni davanti a un’emergenza umanitaria nota da tempo; le ‘ronde’ e il cosiddetto ‘reato di clandestinità’ due novità legislative introdotte pochi mesi prima dal pacchetto sicurezza.
Si è trattato in primis di una grave emergenza umanitaria per le condizioni in cui vivevano 2500 migranti, in baraccopoli senza luce, né acqua e senza servizi igienici, colpevolmente trascurata dalle istituzioni a livello locale e nazionale. E di un mix di sfruttamento para schiavistico, razzismo mafioso, crisi del mercato agrumicolo che strozza i piccoli produttori, oppressione militare e culturale della ‘ndrangheta.
Nonostante le dure condizioni di lavoro nei campi dall’alba al tramonto per meno di 25 euro sotto il controllo dei caporali, i braccianti africani non sono solo “poveri sfruttati”. Con i fatti di Rosarno del 2010 dimostrano di essere un ‘soggetto politico’ che lotta per il rispetto dei diritti umani e per le tutele sul lavoro. Rispondono in modo collettivo (rivolta) a un problema individuale (il ferimento di alcuni compagni a fucilate).
Un anno dopo, nell’estate del 2011, sarà solo grazie a un’altra protesta dei braccianti stranieri a Nardò, con il primo sciopero spontaneo guidato dal camerunense Yvan Sagnet in Puglia, che l’Italia approverà il reato di caporalato per sanzionare un fenomeno esistente da secoli nella realtà agricola italiana, ma che solo con le proteste dei migranti è diventato punibile penalmente.
Alla luce dei tanti materiali analizzati, decine di servizi televisivi e centinaia di pagine dei giornali, evidenziamo tre aspetti:
1)La cronaca dei tre giorni di guerriglia urbana dal 7 al 10 gennaio. Vediamo come si sviluppa il racconto nell’immediato dei fatti e mentre gli scontri sono in corso, sia nei telegiornali nazionali sia sui principali quotidiani e settimanali.
2)L’effetto “traino” in tv. In questa seconda parte ci concentriamo sul racconto televisivo. L’evento di ribellione, percepito come ‘violento’, fa diventare l’immigrazione il tema principale delle scalette dei telegiornali. Diventa terreno di scontro politico e la tendenza è quella di sottolineare “tutti i crimini degli immigrati”, in modo duplice: da un lato si diffondono prevalentemente fatti di cronaca in cui gli stanieri sono autori di reati, sottolineando l’elemento della nazionalità; dall’altro si tende a leggere tutte le notizie riguardanti l’immigrazione in chiave securitaria.
tg 1 ore 20 dell’ 8 gennaio 2010
3)La periodizzazione della figura dell’africano di Rosarno che viene reiterata nel tempo fino a diventare una sorta di cliché, cioè una delle rappresentazioni standard degli immigrati in Italia, buona per tutte le stagioni, ma soprattutto a Natale.