di Raffaella Cosentino
Una società divisa. Come abbiamo visto nella scheda “La notte di Rosarno nei tg” per quanto concerne i telegiornali quella dello scontro etnico è stata la chiave di lettura più utilizzata nella costruzione per immagini del racconto di Rosarno. Ma ci sono alcune fotografie pubblicate dai quotidiani utili a esemplificare meglio questo punto. Effettivamente c’è stato sul campo uno scontro bianchi-neri, sia tra le forze dell’ordine e i rivoltosi, sia fra i braccianti africani e la mafia, e ancora fra i braccianti africani e i residenti. Su questo vale la pena considerare che ciò accade anche per la forte
In televisione e sulla carta stampata, lo spauracchio dello scontro etnico diviene presto il centro della questione e un pretesto per reclamare più sicurezza. La foto simbolo di questa guerra fra neri e bianchi, riproposta da più testate è sicuramente questa qui in basso: un omone nero che si scaglia contro una donna del posto.
Questa è una pagina del Corriere della Sera di sabato 9 gennaio. In quel momento, lo ricordiamo ancora una volta, gli africani si trovano a essere bersaglio di aggressioni razziste, come gambizzazioni, assalti a sprangate, tentativi da parte di bande di rosarnesi di appiccare il fuoco ai casolari in cui vivono i migranti nelle campagne della Piana di Gioia Tauro. La pagina in questione, fermandoci all’abbinamento titoli-immagini, presenta una grande coerenza intrinseca, ma fornisce al lettore un quadro ribaltato rispetto alla realtà dei fatti. La gente scende in piazza e urla: “siamo stati traditi dallo Stato”. Le lamentele dei cittadini di Rosarno sono: a noi bastonate, loro liberi di distruggere tutto. E per finire si ipotizza che la rivolta sia stata teleguidata dai boss, lasciando intendere che gli africani rispondano agli ordini della ‘ndrangheta.
La vita da immigrato. La fotografia al centro della pagina divide in due il campo: da un lato i neri, dall’altro i bianchi. Ma se i neri sono rappresentati da un uomo possente e rabbioso, il fronte dei bianchi qui è quello di una donna ben vestita e all’apparenza indifesa. Potrebbe ben raffigurare i cittadini di Rosarno lasciati soli dallo Stato davanti alla forza bruta degli africani.
Ritroviamo un cliché nelle tre piccole fotografie dei ghetti disumani di Rosarno, con la significativa didascalia: “vita da immigrato”. In pratica vediamo come l’africano povero che vive nel degrado si appresta a raffigurare tutti gli immigrati in Italia, a prescindere dalle loro diverse condizioni. Un’immagine stereotipata alla stregua degli stereotipi linguistici affrontati in Parlare Civile, come “marocchino” e “vu cumprà” che stanno a indicare tutti i migranti presenti in Italia, a prescindere dal reale paese di provenienza e dal lavoro che svolgono.La “vita da immigrato”, secondo i media, è dunque una condizione povera, affamata, disperata e degradante. Qui in basso vediamo come anche la costruzione della pagina de La Repubblica drammatizza lo scontro che non è fra italiani e braccianti, ma fra italiani e immigrati. E anche qui la categoria complessiva degli “immigrati” è rappresentata visivamente dagli africani.
Ritroviamo la stessa scena pubblicata dal Corriere a centro pagina riproposta anche su La Stampa, ma fotografata da un altro angolo. La didascalia che la commenta è: la rabbia e la protesta degli immigrati sfruttati come schiavi. Tuttavia è più facile che in questo scatto il lettore italiano si identifichi con la donna, che da questa prospettiva appare anche più schiacciata in un angolo e indifesa, davanti alla fisicità e alla collera dell’africano. Il protagonista dello scatto è indubbiamente lui, ma qui l’effetto in chi guarda è più forte perché l’omone nero urla con il pugno in alto rivolto verso il lettore. Pur trovandosi non a centro pagina, ma in alto a destra, questa fotografia gioca un ruolo decisivo nella costruzione del messaggio complessivo, perché rappresenta il momento di incontro fra le due masse: quella dei neri rivoltosi e violenti raffigurati a sinistra e quella dei bianchi protetti dietro il cordone di polizia in basso a destra.
Più in basso viene finalmente dato spazio a uno dei feriti, di cui si mostra la foto e si indica nella didascalia che non si tratta di un “clandestino”. Ma la costruzione della pagina sembra incoerente. Il ferito nel titolo chiede: Non facciamo del male perché ci sparano? Ma l’immagine sovrastante su due pagine, quella dell’orda nera che avanza minacciosa, sembra smentire queste parole.