L’ombra della ‘ndrangheta

11 gennaio: l’ultimo giorno di grande attenzione mediatica sulla vicenda

di Raffaella Cosentino

Cercando una “regia” della rivolta. In tre giorni, tutti i neri della Piana di Gioia Tauro sono spariti, lasciando dietro di sé i loro averi: biciclette, vestiti da lavoro, bibbie e corani. Dal giorno seguente Rosarno non sarà più una storia da prima pagina o da copertina. La narrazione giornalistica è quella di un racconto ex post, in cui la guerriglia urbana, le aggressioni razziste e lo sgombero forzato dei migranti africani si sono già consumati. Si tracciano i bilanci, si cercano le spiegazioni, mentre le ruspe radono al suolo quello che resta dei ghetti di Rosarno, abbandonati dai braccianti in fretta sotto il controllo della polizia. E’ il momento in cui si ipotizza più concretamente un ruolo della ‘ndrangheta, che è evidente esserci stato ma non è chiaro in che termini. La ‘ndrangheta è un protagonista invisibile della vicenda sin dall’inizio, chiamata in causa dal Tg3 Notte già a poche ore dall’inizio degli scontri. Spuntano varie teorie, compresa quella di una regia delle ‘ndrine dietro la rivolta degli africani, che però non trova prove a sostegno. La spiegazione più plausibile, alla fine, è che i mafiosi abbiano sparato per primi ai migranti per puro razzismo e spirito vessatorio, non immaginando una rivolta come reazione, e che poi abbiano cavalcato la controrivolta della popolazione locale per ribadire il proprio controllo militare sul territorio.
In questo senso va la spiegazione data dallo scrittore calabrese Mimmo Gangemi ospitata sul quotidiano La Stampa del 12 gennaio

La Stampa 12 gennaio 2010
La Stampa 12 gennaio 2010

Il quotidiano torinese è quello che più di tutti ha messo subito in relazione gli scontri con un contesto di oppressione mafiosa. Ad esempio, avevamo visto il titolo: “La rabbia anti ‘ndrangheta della Rosarno nera”. Non è riuscito però pienamente a svincolarsi dall’incoerenza fra le parole e le immagini, che mostrano al contrario la sola violenza degli stranieri. Questo perché è difficile rappresentare visivamente la criminalità organizzata. Inoltre le immagini della rivolta sono così ‘forti’ in termini giornalistici da superare qualunque altra raffigurazione. Vengono infatti reiterate ovunque e continuamente La Stampa dà ampio spazio anche all’altra causa della protesta, non solo ribellione antimafia ma anche sommossa contro lo sfruttamento. Per rendere visibile lo sfruttamento si fotografa il degrado dei ghetti e delle baraccopoli sorte nei capannoni abbandonati e nei ruderi in campagna.

La Stampa 9 gennaio 2010
La Stampa 9 gennaio 2010

Assieme alle condizioni disumane ritorna l’etichetta più neutra di “fantasmi”. C’è un’associazione ben chiara fra la fotografia dell’africano colto nel gesto di uscire da un buco del silos in cui dorme e la frase del titolo “come topi nelle baracche”. La Stampa è anche una delle poche testate ad offrire un racconto personale e individuale seguendo la storia di una persona. Un momento di vita individuale fermato nel più grande “esodo” forzato degli immigrati neri da Rosarno. Un articolo importante perché oltre a ricordare le condizioni di vita degradanti e la povertà di questi braccianti, focalizza la violenza razzista verso i migranti che a Rosarno c’è sempre stata.Il cuore del racconto è riassunto in modo molto appropriato da una didascalia: “Umiliazioni continue. A volte qualcuno tornava nei tuguri a piedi: erano insulti e sputi per strada”.

La stampa 11 gennaio 2010
La stampa 11 gennaio 2010

Il Tg1 delle 20 del 10 gennaio 2010(1) apre con la notizia che a Rosarno “sono state demolite tutte le baracche” e dedica a questo argomento ancora ben cinque servizi, nell’ordine:

Rosarno, demolite tutte le baracche
La mano della ‘ndrangheta nella rivolta degli immigrati
Storie di integrazione di immigrati a Rosarno.
Dibattito politico sull’immigrazione
Papa, rispettare gli immigrati

Il primo servizio è realizzato concentrandosi sui paradossi. Si parte con la Messa in chiesa, gremita di fedeli che si fanno il segno della croce e ascoltano le parole del prete dal pulpito. C’è un primo piano della statua della Madonna nera. Cristiani da una parte, violenze dall’altra. Si venera una Madonna nera ma i neri sono stati mandati via tutti.
Come ogni domenica Rosarno si raduna a pregare davanti alla sua madonna nera. Paradossi di una città che dopo gli scontri si interroga, dice il giornalista.
Il parroco dal pulpito: “queste realtà, queste situazioni ci interpellano come cristiani e dobbiamo reagire da cristiani”.
Due giorni di violenze da una parte e dall’altra non sembrano bastati a placare del tutto gli animi è il voice over dell’autore del servizio. Viene intervistato un uomo con altri per la strada: “il parroco non è la voce del paese, il parroco deve fare il parroco e basta, deve guardare solo la parte spirituale, il potere temporale non se lo può prendere, deve lasciarlo ai cittadini che sono stanchi dopo vent’anni di aver aiutato questi extracomunitari”. Una donna prosegue: “quelli sono poveretti che non hanno nessuno, non sono tutelati da nessuno e sono stati costretti a fare quello che hanno fatto”.
L’immagine di una ruspa con il sonoro ambientale fa da stacco.

Ferite da ricucire… dove vivevano ammassati in centinaia, la città di cartone non esiste più, sparito il suo popolo. Più di 1100 gli immigrati portati nei centri d’accoglienza a Crotone e Bari. Li chiamano preti di frontiera, don Pino Demasi è uno di loro. Rosarno, lui, la conosce bene.
Don Pino: “chi ha deciso in questi anni i flussi migratori, chi ha deciso le politiche del lavoro, del non lavoro, del lavoro nero non è stato certamente lo Stato, sono stati certamente loro”.
Voice over: La’ndrangheta che tutto può e tutto controlla. Don Pino: “la rivolta è stata cavalcata da chi probabilmente ha deciso che gli uomini di colore non ci dovevano essere più”.(dal Tg1 delle 20 del 10 gennaio 2010)

Il servizio seguente cerca di spiegare La mano della ‘ndrangheta nella rivolta degli immigrati. C’è, da questo punto di vista, una prima presa di posizione da parte degli inquirenti che indagano sugli scontri e ci sono stati alcuni arresti di uomini appartenenti alle ‘ndrine di Rosarno. Il servizio è un’intervista in video al procuratore di Palmi, Giuseppe Creazzo.
Giornalista:

La procura di Palmi indaga sulla guerriglia urbana a Rosarno, tre notti fa. Prima gli immigrati feriti e subito dopo la reazione violenta degli extracomunitari che mettono a ferro e fuoco il paese e allora contro di loro altre vendette e aggressioni. Qualcuno legato alle cosche potrebbe avere deciso di cavalcare le proteste per riaffermare l’autorità sul territorio?
Procuratore capo di Palmi Giuseppe Creazzo:
“non escludo che alcuni appartenenti alle cosche mafiose che dominano il territorio abbiano potuto avere un ruolo nell’ambito di questi scontri. Sono ipotesi che si stanno vagliando. Naturalmente se ciò venisse fuori, sarebbe competenza della procura distrettuale antimafia”.
Giornalista: sono tutti e tre pregiudicati i cittadini di Rosarno fermati per tentato omicidio e oltraggio a pubblico ufficiale sulla loro posizione se convalidare il fermo, il gip di Palmi deciderà lunedi. E uno dei tre porta un cognome conosciuto in zona.
Creazzo: “il nome di alcuni appartenenti alle cosche mafiose di Rosarno”.
Cinque immigrati arrestati per le devastazioni qui in paese ma immigrati anche vittime di violenze, lavoro nero ed estorsioni. Un’inchiesta ha scoperto che un tunisino qua in paese chiedeva ai braccianti il pizzo sui 20 euro, la loro paga quotidiana, insomma il tunisino aveva gli stessi metodi criminali della ‘ndrangheta.
Creazzo: “lavoratori extracomunitari clandestini obbligati a versare una parte della quota della paga giornaliera a chi faceva in modo che essi lavorassero nelle campagne”.(dal Tg1 delle 20 del 10 gennaio 2010)

L’intervista al procuratore di Palmi avviene nel suo studio e viene alternata con una copertura di immagini degli scontri nella notte, le macchine con i vetri rotti, i cassonetti rovesciati, assembramenti vari di africani e di rosarnesi. Notturne con mezzi di polizia. Diurne con camera car dei palazzi e delle strade di Rosarno. Dettagli di arance sugli alberi. Insomma una sorta di riassunto video di quanto già mostrato ampiamente nei giorni precedenti. In più c’è la novità di dover rappresentare questa mafia che non si vede. L’escamotage è un’immagine in controluce di ombre di persone nella strada. L’ombra della ‘ndrangheta.

Nelle pagine in basso vediamo che anche i quotidiani seguono questa linea di interpretazione e mostrano al lettore alcuni scatti dei lavoratori africani mentre vengono allontanati da Rosarno.

Corriere della Sera  gennaio 2010
Corriere della Sera gennaio 2010
Repubblica 11 gennaio 2010
Repubblica 11 gennaio 2010

In particolare va segnalato che il Corriere mostra una fotografia dell’arresto del “rampollo della ‘ndrangheta” coinvolto negli sconti. È questa una rara immagine in cui si personifica l’attore forse più importante dello scontro in atto: la mafia calabrese. Va sicuramente sottolineata la difficoltà di mostrare con le immagini il fenomeno mafioso. Sulla sinistra in un colonnino Il Corriere spiega che 6 su 10 dei migranti di Rosarno erano in regola con il permesso di soggiorno. Ma sono interessanti anche questi due impaginati dello stesso quotidiano dell’11 gennaio, da cui si evince l’ottica relativa alla sicurezza che dai fatti di Rosarno si estende ad altre tematiche sull’immigrazione, come il dibattito sulla “cittadinanza breve”. È peraltro particolarmente fuorviante trattare il tema della cittadinanza associandolo ai disordini in Calabria e ai volti dei braccianti in fuga. La situazione dell’essere cittadini di fatto ma non riconosciuti come tali dallo Stato riguarda circa un milione di persone in Italia, ma si tratta delle seconde generazioni dell’immigrazione, i figli degli immigrati nati in Italia o arrivati da piccoli che hanno studiato e sono cresciuti in questo Paese. (Vd Parlare Civile, voci: cittadinanza, Immigrazione boom).

Qui in basso, le ruspe che radono al suolo i ghetti sembrano mettere la parola fine alla questione, rassicurando i cittadini. I neri sono scomparsi e il degrado pure. Ovviamente si tratta di una grande semplificazione e il “problema” si è solo spostato ad altre zone d’Italia e all’anno seguente. E’ utile ricordare che i primi africani torneranno a Rosarno appena qualche settimana dopo lo sgombero, richiamati da quegli stessi caporali e proprietari terrieri che ne avevano bisogno per finire la raccolta delle arance. La storia continua ancora oggi, purtroppo.

Corriere della Sera 11 gennaio 2010
Corriere della Sera 11 gennaio 2010

Anche La Repubblica per rendere “visibile” lo sfruttamento utilizza ampiamente le immagini dei ghetti di Rosarno, come vediamo dalla pagina qui in basso. Ma in questo caso specifico fa un’operazione diversa. Le immagini scelte sono più artistiche per raffigurare la “cayenna dei dannati”. Nella distruzione delle ruspe, si focalizza l’attenzione sui piccoli dettagli della vita quotidiana: i letti, le pentole, gli oggetti personali, la dama come passatempo, il cimitero delle biciclette, raccolte ordinatamente dai vigili del fuoco. Sono povere cose ma anche segni visivi che riescono a ridare dignità agli esseri umani spazzati via dalla furia delle ronde dei rosarnesi. Foto e testo sono coerenti fra loro nel descrivere “un paese che hai sognato come un paradiso e che si mostra come un inferno”. Il titolo del reportage di Daniele Mastrogiacomo riesce per un attimo a inquadrare l’azione dei rivoltosi come una rivendicazione politica. Su un muro, prima di andare via, gli africani hanno scritto “egalité”.

Repubblica-11-gennaio-2010-
Repubblica-11-gennaio-2010-

 

1Per questioni legate alla concessione dei diritti Rai, siamo in attesa di poter pubblicare il video, ndr

 

 

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