IMMAGINI NON CONVENZIONALI

L’uso di immagini non convenzionali. Accoglienza, migrazioni irregolari e sfruttamento.

di Raffaella Cosentino

Possiamo chiamarle “immagini non convenzionali”. Non sono state filmate da giornalisti né da operatori dei media, ma dai protagonisti o dai testimoni di un fatto. Irrompono nella cronaca e vengono spesso rilanciate dalla rete e dalla tv in modo “virale”, moltiplicando il loro impatto, soprattutto se si tratta di cosiddette “immagini shock”. Le conseguenze di questo tipo di immagini sul complesso della narrazione sull’immigrazione sono da valutare caso per caso.

Schermata 2015-05-22 alle 15.31.25

Cambia il punto di vista. Per alcune notizie si può registrare un duplice effetto: il disvelamento di porzioni della realtà che altrimenti rimarrebbero nascoste e il cambiamento del punto di vista con cui si guarda la storia, non più esterno e solo in teoria obiettivo, ma interno alla vicenda. Spesso infatti la fonte delle immagini sono gli stessi protagonisti, i migranti, oppure i soccorritori. Ad esempio, nel caso dei salvataggi in mare, è ormai prassi diffondere le immagini inviate alla stampa dalla Guardia Costiera.

A volte sono i giornalisti a dotare i migranti di telecamere nascoste. Ad esempio, nel Tg3 del 24 ottobre 2013, la conduttrice esordisce: “in Puglia nella zona della capitanata per la stagione della raccolta sono migliaia gli immigrati che ritornano a lavorare i campi in nero. Alcuni di loro hanno deciso di denunciare il sistema di sfruttamento quotidiano. Abbiamo dato loro una piccola telecamera e hanno ripreso una giornata di lavoro. Vediamo con l’inviato…” . Questo escamotage permette di cambiare la prospettiva del racconto e vedere il lavoro nei campi dal punto di vista di coloro che lavorano, piegati tutto il giorno, a riempire lunghe file di cassoni, mentre il datore di lavoro italiano e il caporale straniero controllano e danno indicazioni. Sono scene che arrivano direttamente dalle terre del nuovo schiavismo, come dice un bracciante in un’intervista: “abbiamo l’impressione qui di essere degli schiavi del ventunesimo secolo”.

Giornalismo di denuncia. Rispetto al tenore classico dei servizi sui ‘fantasmi’ delle campagne, seppure il giornalista richiama questa etichetta nel testo del servizio (ogni anno la stessa storia…Sono tutti lì tra la terra della capitanata ma è come se fossero invisibili. Lavorano in nero per gli imprenditori agricoli), le immagini di denuncia girate dai braccianti permettono di focalizzare il servizio su altri due aspetti. Il primo sono le condizioni di lavoro: Quando guadagna? 25 euro. Quante ore? Dalle 7 di mattina alle 7 di sera. 12 ore 25 euro? Si. Il secondo è l’azione di denuncia dei migranti, che va ben oltre le riprese con telecamera nascosta.

“Ci sono una cinquantina di persone che hanno costituito un gruppo e che sono andati a fare la denuncia con anche l’aiuto di alcuni avvocati – dice un bracciante - Non siamo venuti in Europa per vivere questa situazione, che non esiste neanche in Africa”.

In conclusione, il servizio del Tg3 riesce a comunicare il “no allo sfruttamento e il no alla mafia” da parte dei migranti. Tanto che anche il giornalista ammette: “denunce e vertenze legali e qualcosa si muove”.

Torna su