Cie. Guantamo Italia

Il video shock girato dai migranti

di Raffaella Cosentino

Da internet alla Tv. Anche nel 2011, anno della cosiddetta “Emergenza Nord Africa” un centro chiuderà i battenti in fretta e furia, quindici giorni dopo la pubblicazione di un video shock girato dagli stessi migranti reclusi all’interno e la conseguente ispezione di una delegazione di parlamentari di minoranza. Il video ribattezzato “Guantanamo Italia” viene pubblicato in esclusiva dal contenitore di giornalismo investigativo online “RE LE INCHIESTE”, del gruppo Repubblica -Espresso. Qui lo vediamo riproposto in televisione dal Tg3.

Tg3 11 giugno 2011

Centri di detenzione “amministrativa”. Le immagini portano all’attenzione pubblica la denuncia sui centri di detenzione amministrativa, i C.i.e ovvero centri di identificazione e di espulsione
Nel corso del 2011, con l’obiettivo di decongestionare l’isola di Lampedusa dai migranti arrivati dopo le rivoluzioni arabe, in diverse regioni del Sud Italia sono sorte delle strutture temporanee chiamate ‘Cai’, cioè ‘Centro di accoglienza e di identificazione’. Ma questa denominazione non esiste nella normativa italiana sui centri, si trattava quindi di realtà che si ponevano ai margini del diritto. I tre centri di accoglienza/tendopoli (Cai) aperti tra la fine di marzo e i primi di aprile nei comuni di Santa Maria Capua Vetere (CE), di Palazzo San Gervasio (PZ) e di Trapani località Kinisia sono stati trasformati in centri di trattenimento, ovvero Cie temporanei (Ciet), in cui recludere i migranti in attesa di riuscire a rimpatriarli. Sono stati convertiti il 21 aprile 2011 con l’ordinanza 3925 della Presidenza del Consiglio dei ministri. “Il cambio di natura giuridica dei centri non ha permesso di chiarire cosa sia accaduto alle persone presenti nei centri che improvvisamente si sono trasformate da ospiti di una struttura di accoglienza in trattenuti – scrive l’Associazione A Buon Diritto nel rapporto Lampedusa non è un’isola - Vi sono però numerosi dubbi sulla legittimità delle procedure adottate per la convalida del trattenimento […] Basti citare l’esempio del CIET di Kinisia, una tendopoli costruita su una vecchia pista aeroportuale. Le condizioni assolutamente proibitive con il caldo estivo hanno portato alla chiusura anticipata di questa struttura a inizio luglio 2011”.

Accesso vietato alla stampa. In contemporanea con l’istituzione dei “Cie temporanei”, il Viminale ha emanato la cosiddetta “Circolare Maroni”, dal nome dell’allora ministro dell’Interno. La circolare n. 1305 del primo aprile 2011 è un provvedimento inviato ai prefetti, per vietare l’accesso alla stampa e ai parlamentari a tutti ‘i centri per migranti’ sia di accoglienza, sia di detenzione amministrativa. Una disposizione a tempo indeterminato, giustificata “in considerazione del massiccio afflusso di immigrati provenienti dal Nord Africa e al fine di non intralciare le attività loro rivolte”. Nel 2012 il Tar del Lazio ha dato ragione ai giornalisti Stefano Liberti e Raffaella Cosentino che avevano fatto ricorso contro il divieto, considerato dalla Federazione nazionale della stampa e dall’ Ordine dei giornalisti come “un bavaglio inaccettabile”. I giudici hanno sottolineato che la stampa deve poter entrare nei centri in quanto “cane da guardia” della democrazia. In seguito a un appello di Gabriele Del Grande su Fortress Europe e intorno a quell’azione giudiziaria è nata la campagna della società civile LasciateCIEntrare, sostenuta da Open Society Foundation. La campagna si batte non solo per la trasparenza sui Cie ma anche per la loro definitiva chiusura in quanto violano i diritti umani. Il 13 dicembre 2011, il successore del ministro Maroni al Viminale, Anna Maria Cancellieri, ha sospeso la circolare. “Tuttavia – si legge nel già citato rapporto dell’Associazione A Buon Diritto - l’opacità delle strutture per immigrati risulta tutt’ora impermeabile alla decisione, indubbiamente assai positiva, del nuovo titolare del Viminale. Ripetuti sono i casi, negli ultimi mesi, di ritardi o resistenze all’ingresso della stampa nei Centri”.

Il camuffamento della realtà: gli ospiti detenuti. A buon diritto sottolinea l’operazione di mistificazione della realtà che si ottiene non solo “occultando l’informazione e impedendo la vista bensì alterandola attraverso parole fuorvianti. Chiamando, ad esempio, «accoglienza» ciò che appare, ed effettivamente è, reclusione o definendo «ospiti» i migranti cui è impedita la libertà di movimento come succede, e non da ora, nei CIE e, prima, in quei Centri eufemisticamente definiti di Permanenza Temporanea e di Assistenza (CPTA), introdotti dalla legge Turco-Napolitano, la n. 40 del 6 marzo 1998. O, ancora, definendo «clandestino» qualsiasi migrante non in regola con il permesso del soggiorno”.
Uno strumento efficace di disvelamento della realtà è stato quello cinematografico. Il documentario “EU 013 L’Ultima frontiera”, presentato nel 2014 al 54esimo Festival dei Popoli di Firenze e al Festival Internazionale del Film di Rotterdam, porta una troupe nei Cie “come atto creativo, e dunque di ribellione, dentro una gabbia soffocante” dicono gli autori. La novità è il “punto di vista” della telecamera: la detenzione amministrativa vissuta da dentro la gabbia, non ripresa da fuori. (guarda il trailer)

Locandina- Eu 0133 L'ultima fontiera
Locandina- Eu 013 L’ultima frontiera

Raccontare le nuove istituzioni totali. Lavori come questo dimostrano che entrare nei Centri di identificazione e di espulsione significa calarsi in una dimensione di annientamento della dignità umana, di costrizione fisica e di tortura mentale. Nella maggioranza dei casi i Cie non servono a identificare e ad espellere. Sono grandi gabbie, le Guantanamo d’Italia, ferro e cemento, con porte blindate, feritoie, lucchetti, alte mura di cinta, telecamere di sorveglianza, finestre senza oscuranti e bagni senza porte, perché i “trattenuti” devono essere controllati, spiati, 24 ore su 24, per tutti i giorni della loro reclusione. La “detenzione amministrativa” che giustifica l’esistenza dei Cie vuol dire in pratica privare della libertà personale per un periodo decisamente lungo (18 mesi fino a novembre 2014, ora riportato a 90 giorni) solo per essere identificati. In pratica la prigionia è decretata sulla base di chi si è, non di ciò che si è fatto, non per avere compiuto un reato. In questo i Cie sono la prosecuzione ideale della logica dei lager novecenteschi e dei manicomi: istituzioni totali, sottratte al normale controllo democratico della società civile. Perfino l’assistenza sanitaria nei Cie non è fornita dalle Asl, che non possono entrare. Il medico del Cie è pagato dalla cooperativa che gestisce il centro. Secondo i rapporti di Medici per i diritti Umani, così anche il medico si trasforma in un carceriere. La commissione Diritti Umani del Senato nel 2012 li ha definiti “peggiori delle carceri”.
I Cie italiani sono “crudeli” scrive il New York Times del 5 giugno 2013, riportando le critiche delle associazioni per i diritti umani in un lungo articolo della corrispondente Elisabetta Povoledo, che ha visitato il centro di detenzione amministrativa per migranti irregolari di Ponte Galeria, alla periferia della capitale. Il servizio esamina la questione in termini europei ma il focus è sulla situazione italiana, presa come esempio negativo per tutta l’Unione europea e illustrata anche attraverso un servizio fotografico di Giulio Piscitelli

Giulio Piscitelli - Cie di Bari
Giulio Piscitelli - Cie di Bari

Non sono prigioni.“I Centri di identificazione e di espulsione non sono prigioni ma la differenza sta solo nel nome” esordisce la giornalista americana.
La descrizione del Centro è impietosa: “un’alta barriera di metallo divide le file di caserme in unità individuali, chiuse a chiave la notte, quando i cortili in cemento vengono illuminati a giorno”. Gli agenti operano in tenuta antisommossa. “I detenuti possono muoversi in aree delimitate durante il giorno, ma sono obbligati a indossare le ciabatte o scarpe senza lacci, così da non farsi male o non fare male agli altri”, continua la giornalista. Il New York Times riporta le principali critiche nei confronti dei Cie: sono disumani, inefficaci e costosi. “Sono un deserto politico e culturale che fanno notizia solo quando ci sono delle rivolte”.

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