di Raffaella Cosentino
Un caso eclatante che ha contribuito a bucare la censura sulle metodologie usate dalle forze di polizia nei rimpatri forzati di cittadini stranieri è stata la “Fotodenuncia shock” (2012) di algerini “imbavagliati” mediante nastro adesivo sulla bocca. La fotografia è stata scattata con un cellulare da Francesco Sperandeo, di professione filmmaker, ma in questo caso semplice passeggero di un volo Roma – Tunisi e pubblicata sul suo profilo Facebook, da cui è arrivata ai principali mass media, causando un vespaio di polemiche e reazioni politiche imbarazzate.
Negli ultimi anni è l’uso sempre più frequente di questo tipo di immagini a costituire una delle maggiori novità nel racconto dell’immigrazione. Abbiamo citato nel paragrafo Lampedusa, costruzione mediatica di un locus horribilis il caso delle immagini dei corpi del naufragio del 3 ottobre 2013 intrappolati nel relitto negli abissi, girate dai sommozzatori e riproposte da Repubblica Tv e dal TG3 sette mesi dopo la tragedia. Per i media è inusuale tornare a parlare di una storia così lontana nel tempo.
Immagini inedite. La ragione è data proprio dalla presenza di immagini inedite che, ancora una volta, hanno contribuito in modo determinante a influenzare l’opinione pubblica, ad esempio rispetto alle responsabilità europee sulla gestione delle frontiere, secondo quella che è stata la lamentela del governo italiano guidato da Matteo Renzi nel corso del 2014 durante l’operazione Mare Nostrum. Quelle immagini emerse dal fondo del mare hanno avuto dunque anche un ruolo politico di primo piano. Se nel primo caso si tratta della foto scattata da un passeggero e nel secondo delle riprese dei sommozzatori che recuperano i corpi, quindi di “testimoni” di un fatto, esistono anche molti casi in cui sono i migranti, quindi i “protagonisti” a inviare delle immagini di denuncia. Ad esempio, Repubblica.it del 26 novembre 2014 pubblica le fotografie inviate da due diversi gruppi di siriani in fuga dalla guerra.
Gli scatti arrivano direttamente dall’interno di una nave in avaria in mezzo al Mediterraneo e dai bordi del fiume Evros tra Turchia e Grecia. È solo uno dei tanti SOS lanciati dai profughi dai confini dell’Unione europea, dove la tragedia della guerra siriana si trasforma in odissea del terrore. Le fotografie sono state inviate tramite whatsapp a una rete di attivisti proprio perché fossero diffusi sui media, come forma di denuncia per le gravi violazioni dei diritti umani e per la situazione di pericolo, con la richiesta di un intervento di aiuto.
Tra l’autunno e la fine del 2014 si sono registrati diversi casi di navi mercantili con a bordo svariate centinaia di siriani, partite dai porti in Turchia e poi abbandonate dagli scafisti alla mercè delle onde, sulla rotta per l’Italia. Questa barca che si vede nelle foto è stata poi soccorsa e trainata in Grecia dalle navi di quel paese, anche grazie agli “Sos fotografici” lanciati dai siriani