INTEGRAZIONE

Una via pop alla comprensione dell’integrazione: il successo e la docilità come marcatori dell’avvenuta integrazione

di Andrea Pogliano

Il controcanto della narrazione sull’immigrazione. La narrazione mediale dell’immigrazione è una narrazione perlopiù appiattita sugli sbarchi, i crimini, il degrado, lo spaccio e la prostituzione, ma anche l’Islam e i pericoli del fondamentalismo islamico. L’immagine generale che prevale è quella della clandestinità, della devianza, della chiusura in culture altre, dell’enclave etnica impenetrabile: di corpi esterni alla nostra società che non intendono integrarsi. Il controcanto è dato invece da due modalità di racconto, decisamente residuali, nei numeri, rispetto al canto centrale. La prima modalità è quella del “multiculturalismo felice”, che ricalca le prime pubblicità Benetton sulla società multiculturale, si fa apologia della diversità, descritta come un bene in sé. E’ una modalità che ha avuto e ha qualche lampo, ma che ha in generale ceduto il passo, troppo naif e “buonista” per reggere l’urto del mainstream, per conservare una credibilità in un contesto generale di attacco all’immigrazione. Era una modalità sostenuta da immagini miste di immigrati visivamente di provenienze molto diverse, un po’ caricaturale, più pubblicitaria che giornalistica.

Il Venerdì, 21 Novembre 2008
Il Venerdì, 21 Novembre 2008
 Sette, 23 Ottobre 2003
Sette, 23 Ottobre 2003

In un racconto visivo che punta invece tutto sull’omogeneità (tutti cinesi, tutti arabi, tutti romeni, tutti neri), ha finito per rivelarsi irreale . Ad eccezione degli indiani sikh che lavorano nelle stalle e delle donne filippine che lavorano come collaboratrici domestiche (eletti a emblema dell’integrazione), la seconda modalità per provare a raccontare “gli immigrati integrati” è stata quella del racconto personale o della somma di racconti personali nello stesso servizio di “immigrati di successo”.

Sette, 5 Dicembre 1996
Sette, 5 Dicembre 1996

Gli immigrati “eccezionalmente” integrati. E’ qui che rientra il caso di Rachid Kadiri, dal quale siamo partire per mostrare e svelare come i media raccontino l’integrazione e quanto contino le immagini nel costruire quelle icone di “immigrati di successo” che poi sono quasi gli unici immigrati descritti come integrati che i media sanno offrire ai pubblici. La cifra visiva di questa narrazione è il ritratto che si contrappone in modo netto alle tante fotografie rubate, di cronaca, talvolta dalla soggettiva delle forze dell’ordine, spesso “sporche”, che fanno da massa visiva al racconto sull’immigrazione. Le caratteristiche espresse verbalmente, sono la docilità del soggetto, il suo desiderio di essere come gli italiani, qualunque cosa ciò significhi.
Il risultato è che l’integrazione diventa una questione che riguarda solo gli immigrati, mai il nostro paese, le sue politiche, le sue istituzioni. Sono loro che non vogliono integrarsi oppure che, raramente e eccezionalmente, compiono il “viaggio dell’eroe” per finire, ora emblemi dell’integrazione, a sorridere davanti alla camera del ritrattista. Di tutti gli altri, la maggioranza, ossia gli immigrati non eccezionalmente, ma normalmente integrati, si perdono le tracce.

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