Il racconto del successo

La narrazione giornalistica della laurea di Rachid sui media nazionali

di Andrea Pogliano

Rachid è un immigrato che si è laureato e come tale va letto in connessione con altre storie di immigrati, per quanto distanti possano essere. E’ una narrazione stereotipata che si gioca sulla ri-costruzione dell’immagine del “vu cumprà che ce l’ha fatta”, come esempio eccezionale o eccezione esemplare.
A distanza di 20 anni viene così a riconfermarsi la regola narrativa che identifica gli immigrati con i paria e che ha (almeno dal 1997) la sua icona visiva negli sbarchi.
Per fare ciò sono risultati necessari due passaggi:

1) Presentare Rachid come un soggetto totalmente miserabile, enfatizzando e inventando dettagli letterari. Da “i denti malandati dalla povertà”, frase contenuta in un articolo gestito in maniera molto scorretta come una lettera che lo stesso Rachid avrebbe indirizzato a La Stampa il 2 Novembre 2013, ai richiami continui alla sua eleganza il giorno della laurea con il ritornello della “giacca regalata da una coppia di amici”, ripreso in quasi tutti i telegiornali e nella puntata di “Che tempo che fa”; al foglio “tutto stropicciato” in cui si era appuntato un discorso, che Rachid avrebbe tirato fuori dalla solita giacca durante l’incontro col Ministro Kyenge, alla Golf “scassata” con la quale sarebbe arrivato dal Marocco, è un susseguirsi di dettagli usati per dare salienza e enfasi allo stato di povertà del protagonista del racconto.

2) Presentare Rachid come un eroe che diviene esemplare per gli italiani stessi, in quanto portatore di doti caratteriali come la pazienza, la perseveranza, la capacità di superare gli scoramenti e le fatiche, di perdonare e rinascere dalle sconfitte. Anche questo viene fatto dando salienza e enfasi ad alcune storie (quando è stato picchiato da un gruppo di ragazzini che dicevano frasi razziste, per enfatizzare il fatto che lui è andato avanti senza portare rancore; quando lui e i fratelli non avevano i soldi per pagare la bolletta del gas, per enfatizzare il fatto che abbia studiato in condizioni difficili e precarie) e costruendo un legame metaforico tra le proprietà caratteriali di Rachid e le proprietà chimico-fisiche del materiale da lui studiato per la tesi di laurea (“Il grafene è resistente e si adatta a tutto” – da Che tempo che fa del 13 ottobre 2013; “ricorda i momenti brutti ma crede nel futuro. Lui è più resistente dell’acciaio, come il materiale su cui ha fatto la tesi” – da Repubblica del 9 Ottobre 2013).

Questi passaggi nascono dal bisogno narrativo di costruzione dell’eroe, confrontando indirettamente le sue qualità umane con quelle presunte dei giovani italiani, o di alcuni di loro, enfatizzando l’aspetto “migrazione” (e quindi la storia migratoria che fa di lui innanzitutto un migrante) e l’aspetto culturale (l’educazione in una cultura altra dall’italiana). Questo lo si evince da una qualsiasi analisi del discorso. A cominciare dall’insistenza sul fatto che si tratti di un “marocchino”, continuando con gli accostamenti a fatti che riguardano l’immigrazione, fino alla presa di posizione che mette a contrasto l’esempio di Rachid con i dati OCSE “che hanno condannato gli studenti italiani all’ultimo posto in Europa…” (corsivo nostro).
Questa immagine nostalgica di un’Italia fatta da italiani migliori di quelli di oggi è forse il grande fascino che la storia di Rachid ha esercitato in quei giorni su un “mondo generazionale” decisamente ben rappresentato nel giornalismo italiano di oggi. Il tentativo di usare la storia di Rachid come modello per ricordarci gli italiani emigranti del secondo dopoguerra, in una sorta di “quel che eravamo”, che diventa subito una storia moraleggiante, ne è l’espressione più esplicita.

Quando, a inizio Novembre, si scopre che Rachid ha rifiutato una proposta per partecipare alle selezioni dell’edizione 2014 del Grande Fratello, il Tg 3 delle 19, dopo aver citato la “finta lettera” di Rachid pubblicata da La Stampa, conclude con queste parole:

“E’ così fuori moda Rachid che sembra un italiano, non di adesso, ma di quando si emigrava per cercare una strada che l’Italia non dava per migliorarsi, per avere successo, ossia un lavoro con la cravatta; un lavoro che oggi non c’è, e per questo le strade strette e corte del gioco, della fama mediatica d’accatto, o peggio, attraggono con forza crescente col crescere dello sconforto, della sfiducia. Rachid ci crede, magari sbaglia a crederci, ma sembra accettare l’idea di affidare successo o fallimento alle proprie forze e non al televoto”.

L’icona della speranza. Compiuti questi due passaggi caricaturali, questo “vu cumprà eccezionale” può infine funzionare come icona per mandare un generico messaggio di speranza (ai paria in fuga, ma anche ai giovani italiani “choosy”, segnalando la storia di Rachid come esempio, o meglio ancora come una “buona pratica”, per riprendere le parole dell’ex Ministro dell’Integrazione, che fanno eco alla retorica dominante dei bandi di concorso comunitari sul tema dell’integrazione). Come era ovvio attendersi, Rachid ha provato, nel leggere la sua storia sui giornali e nel sentirla raccontare in televisione, alcune stonature che lo hanno infastidito e contro le quali ha tentato sempre di reagire, a parole, durante le interviste. Anche sulla base dell’intervista che ci ha concesso, possiamo individuare quattro forzature piuttosto significative:

1) Il fatto di legare la sua laurea alla tragedia di Lampedusa, che lo ha portato a fare dei distinguo, sostenendo la diversità tra il suo caso e quello di chi arriva via mare, arrivando a dire che i veri eroi sono loro, che rischiano tutto, mentre lui a quelle condizioni probabilmente sarebbe rimasto in patria.

2) Il fatto che i media, nel raccontare la sua storia, hanno enfatizzato eccessivamente la sua povertà attraverso una simbologia stereotipata, inventandosi delle affermazioni e passandole per frasi sue.

3) Il fatto che i media trattassero la sua storia come un’eccezione e insistessero su questo punto, cosa che lo ha portato a reagire dicendo in più occasioni che di casi simili al suo ne conosceva diversi, anche tra gli italiani.

4) Infine, il tentativo di raccontare la sua storia (più a livello nazionale che regionale, va detto) seguendo il canovaccio del percorso “dell’eroe solitario”. E qui Rachid ha sempre raccontato che, a insistere perché proseguisse gli studi erano stati i suoi fratelli e cugini e il resto della sua famiglia in Marocco, i quali hanno fatto sacrifici per lui. Ha inoltre sempre ringraziato i molti torinesi che lo hanno sostenuto e aiutato in varie forme.

Ognuna di queste storture contribuiva a rendere la storia della laurea di Rachid consonante con la storia mediale dell’immigrato di successo, e ognuna di esse convoca una serie di distorsioni che sono proprie del modo in cui molto giornalismo pensa e porta a pensare il fenomeno migratorio, condannandosi e condannando a un clamoroso ritardo cognitivo.

Tutto questo è una questione di immaginario, sedimentato in una generazione “anziana” di giornalisti e conduttori di trasmissioni televisive. E’ un immaginario che si fonda su categorie rigide quanto arbitrarie, ma che ha molto a che fare con le immagini. Ad esempio, l’iper-visibilità (video e fotografica) degli sbarchi è un fantasma costante che tende a costruire una certa visione di chi siano gli immigrati e che si oppone alle statistiche. Parallelamente, l’iper-visibilità dei soggetti più esposti (nelle strade, nei parchi, ecc.) ha portato a un eccesso di immagini mediatiche di questuanti, “lavavetri”, venditori ambulanti, prostitute, ecc., che ha contribuito negli anni a creare una base visiva attraverso la quale pensare gli immigrati.
Se si considera la relativa invisibilità sui media degli immigrati negli spazi meno facilmente accessibili (case, luoghi di lavoro), il risultato è stato quello di assecondare e confermare un’immagine dell’immigrato che corrisponde grossomodo alla visione distratta dell’automobilista metropolitano che ogni tanto fa una gita nei luoghi degli sbarchi (alcune volte ci passa tutta la vacanza) e, sotto l’ombrellone, si incuriosisce nel vedere sulla copertina di una rivista il ritratto quasi pubblicitario di un “immigrato di successo”: uno che sfugge alla massa anonima di disperati che non ce la fanno.

Se spostiamo il fuoco sulle immagini concrete attraverso le quali è stata illustrata la storia di Rachid, sulle scelte delle singole fotografie sui giornali, mettendole in un contesto più ampio, guardiamo proprio a come viene costruita visivamente sui media l’ambigua categoria dell’immigrato di successo.
Sono scelte stilistiche e estetiche che prevedono la messa in posa del soggetto ritratto, il ricambio di sguardo tra fotografo e fotografato, il sorriso, il colore a toni vivaci. Sono immagini che ricordano ritratti del genere “people” e che tendono sempre di più, col passare degli anni, a isolare il soggetto da qualunque contesto che non sia puramente simbolico, come avviene nel porre il contrasto tra il “Rachid dottore” e il “Rachid vu cumprà”, dove ciò che conta è connotare l’avvenuto salto di status, la mobilità sociale che si sta raccontando come successo esemplare e “da esportare”.

Repubblica Ottobre 2013
Repubblica Ottobre 2013
Repubblica Ottobre 2010
Repubblica Ottobre 2010

E’ una produzione visiva che si contrappone apertamente alle fotografie di stock che coprono ancora la maggioranza delle immagini di immigrati sui media italiani e che opera in un flagrante contrasto con gli individui anonimi, ingrigiti e spesso sfuggenti (talvolta perché infastiditi dal furto d’immagine, talaltra per la necessità giornalistica di coglierli di spalle o di tre quarti per evitare che si vedano i volti) che emergono dalle fotografie di cronaca e che – nel corso degli anni Novanta –hanno finito per soppiantare, anche sui settimanali, i ritratti “empatici” che avevano caratterizzato un certo sguardo sui neri negli anni Ottanta. Quella forma-ritratto è oggi prerogativa quasi esclusiva di poche categorie: “immigrati di successo”, “colf e badanti”, “seconde generazioni” e pochissime altre categorie di lavoratori, connotati in senso etnico, come gli indiani Sikh. Per tutti gli altri il ritratto è concesso esclusivamente dal personale delle questure.

 Venerdi Giugno 2007
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D febbraio 2001
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Magazine Dicembre 2007
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D Giugno 2007
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