La storia di Rachid

“Da vu cumprà a dottore”: gli estremi (non) si toccano

di Andrea Pogliano

L’immigrato laureato. Il 7 ottobre del 2013 un ragazzo immigrato, prossimo a ottenere la cittadinanza italiana, si laurea a Torino in ingegneria. Ad attenderlo in sala laurea ci sono le telecamere del telegiornale regionale Rai. Nell’intervista che gli abbiamo fatto, Abdelmoula Khadiri, che si fa chiamare Rachid, racconta che in un primo tempo non ha pensato minimamente al fatto che le telecamere fossero lì per lui.
“Continuavo a girarmi per capire chi c’era dietro”, ci racconta. E aggiunge: “Pensavo che qualcuno di importante si stesse laureando”. Quando ha capito che i cronisti erano lì per lui ha pensato a una specie di scherzo organizzato da qualche amico. In realtà quella presenza aveva il suo senso, secondo una logica comune ai giornalismi locali. (intervista realizzata nel 2013 da Andrea Pogliano e Matteo Tortone per il progetto europeo Beams; un parte dell’intervista è confluita in questo video, ndr)
Rachid e i suoi due fratelli maggiori sono soggetti iper-visibili in una zona centrale della città. Lo sono da molti anni, da quando hanno cominciato (prima i cugini e i fratelli, poi anche lui) ad aggirarsi nella zona dell’Università di Lettere e Filosofia vendendo le loro mercanzie. E’ una zona frequentata quotidianamente da molte persone, a cominciare dai docenti universitari e dagli studenti, ma anche dai giornalisti, data la prossimità della sede centrale piemontese della Rai. Rachid e i suoi parenti sono uomini che tanti torinesi hanno iniziato a conoscere e qualcuno a sostenere e aiutare in vari modi nel corso degli anni. Per il telegiornale regionale la laurea di Rachid è pertanto un evento in sé, ma anche un’occasione per raccontare la città di Torino nei termini di una città importante nella produzione di conoscenza e cultura e, parallelamente, di una città impegnata sotto il profilo sociale.

La narrazione celebrativa. I telegiornali regionali che narrano la laurea di Rachid tengono pertanto insieme questo tono locale e intimista (“molti lo conoscono, l’hanno visto in via Po”, ammicca il giornalista che per primo racconta quella laurea) e una narrazione chiaramente celebrativa: ad essere celebrati sono il prestigio del Politecnico, ma soprattutto la solidarietà dei torinesi. E’ una narrazione che ha radici nel passato operaio e ha preso la connotazione odierna con la riconversione post-fordista in “città della cultura”, la cui consacrazione mediatica si è avuta con le olimpiadi invernali del 2006. L’immagine di Torino città-paese, fatta di relazioni profonde e solidali, ma al tempo stesso città-metropoli, aperta e ricca da un punto di vista culturale, viene così riproposta come immagine di sfondo per raccontare la laurea di Rachid. Al centro della narrazione visiva ci sono pertanto i luoghi (la facciata e la sala lauree del Politecnico), ma soprattutto i volti: da quelli noti di Rachid, dei suoi fratelli e cugini e di molti docenti universitari che hanno assistito entusiasti e commossi all’evento, a quelli meno noti degli amici e dei compagni di corso di Rachid.
Al tempo stesso però, questo racconto locale, cittadino, che mette in mostra un microcosmo felice, mostrandone i simboli e intercettandone le storie particolari, si regge su una narrazione di fondo stereotipata, una sorta di amo per il giornalismo nazionale. Il titolo del primo servizio passato al telegiornale regionale dell’8 ottobre 2013 la contiene in sintesi:

“L’ambulante ora è dottore”.

Si tratta di un titolo che non è ancora necessariamente connotato in termini etnici e non è necessariamente collegato all’immaginario dell’immigrazione. Eppure l’amo è lanciato e le segreterie di svariati programmi nazionali Rai e Mediaset iniziano a ricevere l’ordine di contattare Rachid per invitarlo nei loro salotti. Come ci racconta lui stesso:

Dal Poli[tecnico] mi hanno chiamato per sapere se potevano dare il mio recapito perché c’erano svariate persone che lo stavano chiedendo. Io ho pensato: “bene, sarà per lavoro”,
e ho dato l’assenso. Poi però hanno iniziato a chiamarmi ed erano tutti giornalisti.

I ragazzi che “ce l’hanno fatta”. Dopo aver accettato di partecipare alla trasmissione I fatti vostri (puntata dell’11 ottobre 2013 – quattro giorni dopo la laurea), Rachid dice una serie di no. Per prima cosa – ci racconta – voleva evitare un’eccessiva mediatizzazione di sé, cosa estranea alla sua indole. In secondo luogo iniziava a essere infastidito dall’insistenza che tutti i giornalisti che lo contattavano stavano mostrando nel mettere esplicitamente in relazione il suo caso con il tragico evento della morte in mare di 366 persone, potenzialmente richiedenti asilo, avvenuto pochi giorni prima (il 3 ottobre) davanti all’isola di Lampedusa
L’intervista de I fatti vostri a Rachid si chiude con questa (non)domanda di Magalli:
“Hai visto che tanti non ce la fanno non solo a raggiungere i risultati che hai raggiunto te, ma tanti non ce la fanno neanche a raggiungere la terra. Come è successo a Lampedusa, avrai sentito…”
Gramellini conclude così la sua “Buonanotte” dedicata alla “storia di Rachid” durante la trasmissione Che tempo che fa del 13 ottobre 2013:
“Ora, sta finendo la settimana di Lampedusa, e la settimana dei dati OCSE che hanno condannato gli studenti italiani all’ultimo posto in Europa per conoscenza dell’alfabeto e della matematica. E’ una sconfitta generazionale che però ha molti padri, ma anche una sua via d’uscita: […] imparare da me amis Rachid, l’ingegner Rachid”. La Repubblica del 9 ottobre 2013, affianca l’articolo su Rachid a un articolo il cui occhiello crea un legame implicito tra la sua laurea e la tragedia di Lampedusa (sono passati solo 6 giorni): “Dallo sbarco a una nuova vita: è la parabola di molti immigrati che non si arrendono”. Il titolo è: “Ecco Pape, Priya e Stephen, i ragazzi che ce l’hanno fatta”. L’articolo si propone di raccontare la storia di tre “eroi dell’immigrazione”.

Siamo davanti a una narrazione della migrazione di successo alla quale i media ci hanno abituati. Prendi una storia a lieto fine di un immigrato e affiancala ad altre storie di successo. Costruisci un puzzle che si regge su uno stereotipo: quello che presenta tutti gli immigrati come miserabili che arrivano sui barconi e descrivi quelli che “ce l’hanno fatta” (il metro è il successo e/o la notorietà) come eroi solitari che, lottando contro le forze avverse, sono riusciti a risorgere dalle ceneri. E’ la più tipica delle narrazioni occidentali del trionfo solitario dell’eroe. Generalizzata all’immigrazione, è una narrazione che appiattisce l’immagine del migrante su quella dell’uomo fuggito alla morte per approdare con le sue sole forze in una terra promessa nella quale trovare una strada percorribile. E’la strana logica che legge l’immigrazione attraverso gli sbarchi; che trova nella storia di un “ambulante [che] ora è dottore” una sorta di anello per collegare la fuga repentina da un luogo che non dà speranze al faticato successo in un luogo che ancora ne offre. Nonostante Rachid non sia arrivato via mare, non sia fuggito per sopravvivenza, non sia giunto da solo e senza aiuti in un luogo sconosciuto, la sua storia, una volta raccolta dai media nazionali, funziona perché occupa quello spazio semantico. La storia di Rachid viene così ricondotta per intero alla stereotipata narrazione mediatica dell’immigrazione e degli immigrati.

Da un punto di vista politico, l’“integrazione” si presenta come il termine centrale, quasi una parola magica che assume anche un senso simbolico del tutto particolare. Questo senso si fonda sulla narrazione mediatica del successo, sempre individuale, sempre esemplare e eccezionale. Presentato come un esempio da seguire lungo la via dell’integrazione, da politici nazionali di sinistra e di destra, la storia di Rachid viene descritta da Cecile Kyenge, al tempo ministro dell’integrazione, ai microfoni del Tg Regione come “una storia molto bella, una buona pratica, una storia da raccontare, un esempio da portare fuori, da esportare.
E – continua la Kyenge – credo che tutto il merito vada a lui” (TgR Piemonte Buongiorno Regione del 15 ottobre 2013). Fabrizio Ricca, capogruppo della Lega Nord in Comune, ha chiesto al sindaco Fassino di consegnare a Rachid il Sigillo Civico con queste parole: “Perché quel ragazzo è simbolo di impegno, voglia di riscatto e di integrazione vera, quella di cui il mio partito parla da anni” (La Stampa del 10 ottobre 2013, p. 49). L’integrazione viene quindi ad essere definita attraverso il metro del successo, scolastico o lavorativo che sia, come un fatto di volontà individuale, non di contesto sociale e – soprattutto – come un’eccezione al ciclo normale. Si arriva fino al punto di riproporre la distinzione degli immigrati in buoni e cattivi in termini di volontà o non volontà a integrarsi. Tuttavia, se il linguaggio istituzionale pone al centro la parola integrazione, quello mediatico nazionale ha bisogno di rendere quella storia fruibile per un pubblico generalista, ossia di trasformare in icona la visibilità locale – circoscritta e situazionale – di Rachid. Per fare ciò, il giornalismo nazionale re-inventa la storia della mobilità sociale di “un marocchino”,ripescando una vecchia storia paradigmatica che ha avuto, all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso,un grande successo giornalistico.

Il claim del “vu cumprà di successo” . E’ di un certo interesse notare che la storia dell’ “ambulante che ora è dottore” diventa, a distanza di pochi giorni, la “bella storia di un marocchino da vu cumprà a dottore …” (titolo del Settimanale del TgR Piemonte del 12/10/2013). A dispetto di un servizio che riproduce in larga parte lo stesso materiale dei precedenti, la trasformazione del titolo dà conto dell’effetto di ritorno nei Tg regionali dell’impostazione narrativa data dai telegiornali e dagli altri programmi nazionali.
Il claim del “vu cumprà di successo” è stato uno snodo narrativo interessante nel racconto mediatico dell’immigrazione in Italia che vale la pena ripercorrere qui rapidamente. Come viene detto in modo più approfondito e documentato nel libro “Facce da straniero” , la storia del “vu cumprà che ce l’ha fatta” arriva dopo un decennio abbondante di racconti giornalistici che sovrappongono l’immagine degli immigrati con l’immagine del nero che vive di espedienti e di offerte caritatevoli e che viene spesso riassunto nella categoria giornalistica del “marocchino”.

Famiglia Cristiana Maggio 1996
Famiglia Cristiana Maggio 1996
L'Espresso Luglio 1988
L’Espresso Luglio 1988

Molto visibile, il cosiddetto “vu cumprà” diventa l’icona dell’immigrazione, con tutta la distorsione che deriva dal pensare genericamente gli immigrati come soggetti miserabili che vengono da luoghi dove è difficile sopravvivere (l’immaginario del Terzo Mondo) e che non hanno altri orizzonti possibili oltre la “terra promessa” che, nel caso specifico, è l’Italia.

famiglia Cristiana Gennaio 1990
famiglia Cristiana Gennaio 1990
L'espresso Febbraio 1983
L’espresso Febbraio 1983
Panorama Maggio 1988
Panorama Maggio 1988

La riduzione a “vu cumprà”, dopo diversi anni di reiterazioni narrative e dopo i primi sbarchi di albanesi dal Secondo Mondo (un notevole shock nel pensare l’immigrato nei termini in cui lo si stava pensando) produce una trasversale ricerca giornalistica intorno a quei soggetti che tanta visibilità mediatica avevano avuto.

Si arriva così alla domanda “Ma alla fine…quanto guadagnano?” (Epoca, 31 agosto 1993)

Epoca Agosto 1993
Epoca Agosto 1993

Parte in quegli anni una gara a raccogliere storie da presentare come eccezioni alla miserabilità: gli altri,come quelli dell’esemplare servizio di Epoca dal titolo “Altro che vu’ cumprà”.

Epoca Settembre 1993
Epoca Settembre 1993
Epoca Settembre 1993
Epoca Settembre 1993

Dai “vu cumprà”, categoria che tendeva a comprendere tutti gli immigrati, ma che si articolava soprattutto nei termini di “immigrati clandestini” si arriva infine a parlare di immigrati tout court, continuando a contrapporre alla massa indistinta di “africani” o “marocchini” alcuni casi individuali di successo considerati esemplari

Venerdi 1997
Venerdi 1997
Sette Dicembre 2007
Sette Dicembre 2007
Sette Ottobre 2003
Sette Ottobre 2003

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