3 ottobre 2013 – Lo spartiacque

Il naufragio nei pressi dell’isola dei Conigli

di Raffaella Cosentino
Tg1 3 ottobre 2013

Il 3 ottobre 2013 i grandi assenti della narrazione sull’immigrazione irregolare, le vittime, impongono tragicamente il loro ingresso sulla scena. Il naufragio con 366 morti accertati, un numero imprecisato di dispersi con molti minori, e 155 superstiti, avvenuto nei pressi dell’isola dei Conigli a Lampedusa, assume tutte le caratteristiche del “media event” internazionale. Si è detto che è stata la più grave catastrofe marittima nel Mediterraneo dall’inizio del XXI secolo. Questo dato non è certo, viste le decine di migliaia di vittime che hanno perso la vita sulle rotte migratorie via mare verso l’Europa e i tanti naufragi di cui nemmeno si è avuta notizia. Il 21 aprile 2015 un bilancio tre volte più grave è stato quello relativo a un naufragio con circa 900 vittime stimate, avvenuto con dinamiche ancora poco chiare, mentre erano in corso le operazioni di salvataggio da parte del mercantile King Jacob.

Di certo quella di Lampedusa è stata la strage più visibile. Un peschereccio con oltre 500 persone, prevalentemente di nazionalità eritrea partite dalla Libia, ha preso fuoco e si è rovesciato nella notte fra il 2 e il 3 ottobre, a poca distanza dal porto dell’isola . “Non hanno lanciato l’allarme con il satellitare come di solito avviene, non hanno contattato nessuno, per questo quando il motore si è fermato a circa due miglia dalla costa e l’imbarcazione ha iniziato a caricare acqua hanno deciso di fare fuoco incendiando gli indumenti per segnalare la presenza”. È quanto racconta Veronica Lentini operatrice dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni all’agenzia di stampa Redattore Sociale nelle ore seguenti la strage. La nave con circa 500 migranti non è stata intercettata in tempo per evitare il naufragio, contrariamente a quanto avviene di solito con le operazioni di soccorso in mare. Quasi sempre è una chiamata di Sos da parte dei naufraghi o di loro parenti in Italia a mettere in moto le unità di salvataggio. Sono state le imbarcazioni private ad avvistarli e ad avere prestato i primi soccorsi. Una serie di concause rendono la strage molto notiziabile. Per la prima volta, oltre al bilancio delle vittime, ci sono i racconti emozionati dei soccorritori, i corpi che vengono recuperati nei giorni seguenti e accumulati a centinaia sulla piccola isola, che non ha spazio nel cimitero. Le bare devono arrivare via nave ed essere trasportate nei comuni siciliani per la sepoltura, davanti allo strazio dei parenti sopravvissuti o giunti dal resto d’Europa. Tutto ciò è reso ancora più forte mediaticamente dal fatto che il dramma avviene a Lampedusa, da anni un palcoscenico per i media e una passerella per i politici. Così va in scena il lutto e lo strazio collettivo, con la presenza ingombrante e fortemente di rottura della distesa di bare, con quelle bianche e piccole in prima fila.

La copertina dell’edizione principale del Tg1 del 3 ottobre (alle 20) rinuncia alla mediazione giornalistica e mostra solo le immagini forti che arrivano dall’isola lasciando come commento direttamente le parole di indignazione del Papa, che ha parlato di “vergogna” e dell’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che ha aggiunto “orrore”. A seguire le parole del ministro dell’Interno Angelino Alfano (“è una scena che offende l’Occidente e l’Europa”) e della sindaca Giusi Nicolini. Le scene dei corpi nei sacchi neri sistemati sul molo parlano da sole.

Il quotidiano La Repubblica, la mattina seguente, apre con lo stesso tipo di immagine e di titolazione: “vergogna e orrore”.

La Repubblica 4 ottobre 2010
La Repubblica 4 ottobre 2010

E’ “la notte delle lacrime”, “un enorme cimitero”. Espressioni che si ritrovano tutte insieme in poche righe a rafforzare il messaggio già molto diretto dato dalla fotografia. Ma anche davanti allo “scempio” descritto da Attilio Bolzoni, in prima pagina non si rinuncia, in alto nell’occhiello, a dire che è “la più grande tragedia nel mare dei clandestini”. Il giorno dopo, anche il Corriere della Sera (5 ottobre) titola sui “Clandestini in Italia”. Nella pagina, tra la foto di “un gruppo di clandestini in un centro di accoglienza” e le infografiche (numeri a destra, rotte dei rifugiati a sinistra) si confondono i migranti forzati con i migranti economici. A questi ultimi si potrebbe riferire la frase in alto “un immigrato è qualcuno che non ha perso niente, perché lì dove viveva non aveva niente. La sua unica motivazione è sopravvivere un po’ meglio di prima”. Peraltro un’affermazione in linea con la rappresentazione predominante degli sbarchi , secondo cui questa gente ‘disperata’ non si lascia niente alle spalle. In realtà i rifugiati al contrario sono quelli costretti ad abbandonare tutto, affetti e possedimenti, a causa di una guerra.

L’infografica è “Italocentrica”, con le frecce di tutte le rotte dell’immigrazione irregolare che convergono verso la Penisola. Anche questa è una rappresentazione frequente, tipica di un approccio allarmistico.
Per quanto riguarda la didascalia sotto la foto, chi sta in un “centro di accoglienza” è stato identificato e ha presentato richiesta di asilo, quindi, gli uomini ritratti non possono essere “clandestini”. Questa parola deriva dal latino e significa “colui che si nasconde alla luce del giorno”. Ha un significato connotato negativamente perché indica qualcosa di moralmente o legalmente vietato. Nelle notizie sull’immigrazione è diventata sinonimo di immigrato tout court. E nella maggioranza dei casi l’uso di questo termine si rivela scorretto perché chi arriva dal mare, i cosiddetti “boat people” e fa richiesta di asilo politico non è condannabile per l’ingresso irregolare in Italia, in quanto non esistono vie legali di accesso sul territorio per un profugo o un richiedente asilo. Eppure solo tre mesi prima, in occasione della visita del Santo Padre a Lampedusa come suo primo viaggio ufficiale, si era registrata un’importante inversione di tendenza. Ne aveva riferito Redattore Sociale: Il papa va a Lampedusa e sui media i “clandestini” ritornano migranti.

Le principali testate online e televisive hanno scelto di non usare termini stigmatizzanti in occasione della storica visita di Papa Francesco, parlando piuttosto di “migranti”, “immigrati”, “profughi” ed “emigrati”.
Sono questi i termini preferiti da Repubblica.it, dal Corriere.it e da LaStampa.it. Per quanto riguarda i telegiornali nazionali della Rai, la rotta seguita da conduttori e inviati è stata la stessa. Solo il vaticanista del Tg2, aveva parlato di Lampedusa in apertura definendola “l’isola degli sbarchi, l’isola dei clandestini”. Tuttavia, nel seguito del servizio, lo stesso corrispondente diceva che il papa incontra gli “immigrati”, non i clandestini. Ad accogliere il Santo Padre per la messa sono “isolani e immigrati”. Il giornalista Enzo Romeo, in un altro servizio all’interno del medesimo telegiornale, fa anche una riflessione sul linguaggio che coinvolge gli immigrati: “quelli che ci ostiniamo a chiamare extracomunitari, facendo finta di non capire che ormai non c’è più un’extra e un’intra perché tutto nel mondo globalizzato si compendia”. Secondo Romeo, dopo la visita del Papa a Lampedusa cambierà lo sguardo occidentale sugli sbarchi, e tutti capiranno che l’immigrazione non è un’emergenza ma un fenomeno stabile.

Il Tg1 aveva scelto un termine molto soft, come “migranti” che sembra anche meno stigmatizzante di “immigrato”.
Nel caso della strage del 3 ottobre, il tono del telegiornale della prima rete del servizio pubblico mantiene un racconto profondamente emotivo. “È la più grande tragedia dell’immigrazione nel mar Mediterraneo” annuncia la conduttrice in apertura del Tg, informando del lutto nazionale per l’indomani. La centralità dei cadaveri dei migranti, che improvvisamente da fantasmi diventano corpi disseminati ovunque, emerge subito.

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“Un corpo in mezzo al mare, in balia delle onde, l’immagine di una strage(dal tg1 del 3 ottobre 2013)

 

È l’attacco del primo servizio di cronaca. Spalmato in quattro momenti, fra servizi e collegamenti in diretta, va in onda un lungo racconto dell’orrore, con diversi dettagli.
“Nel relitto ci sarebbero decine di morti”. I soccorritori piangono perché “è difficile trattenere le lacrime” davanti alla perdita di così tante vite. I corpi delle vittime sono allineati sul pontile, chiusi nei sacchi di plastica. Si ripete più volte che i morti sono così tanti che le casse di legno non bastano per tutti, le altre arriveranno in aereo e nave. Questo particolare contribuisce a connotare il naufragio come una catastrofe, una vera apocalisse. Nel collegamento in diretta da Lampedusa, l’inviato racconta il punto di vista dei soccorritori che hanno sentito le grida d’aiuto e hanno visto una distesa di corpi. Più la cronaca scende nel dettaglio, più si racconta l’inferno. “La gente scivolava perché erano unti di carburante, ci abbiamo messo un’ora per imbarcare 20 persone e nel frattempo li vedevamo scivolare giù – raccontano i testimoni - non avevo mai visto una cosa del genere, mi sono messo a piangere quando ho chiamato mia moglie”. C’è uno scambio di battute con la sindaca Giusi Nicolini sul ricordo della visita di Papa Francesco. “Lui aveva reso visibile questa tragedia che era invisibile - dice la prima cittadina in un’intervista - purtroppo però anche oggi è una giornata epocale, questi morti parlano a tutti”. “Sono stragi del mare che scuotono le coscienze, sono le storie tragiche del canale di Sicilia” riprende la conduttrice da studio per lanciare un servizio che racconta “le altre tragedie del mare”, secondo un meccanismo rodato del giornalismo. Il naufragio di Lampedusa improvvisamente riporta ‘a galla’ migliaia di altri morti, passati sotto silenzio, storie vicine e lontane di altre spaventose vicende: “È lunga la lista dei viaggi della speranza finiti in tragedia. In dieci anni 6200 persone annegate, l’anno nero è il 2011 almeno 1800 le vittime”.

Il 3 ottobre segna però uno spartiacque nel racconto del Mediterraneo perché è un evento le cui immagini agghiaccianti alzano la sensibilità popolare sul tema, svelando una scomoda verità nascosta. La morte non è più un affare privato dei migranti, ma un fatto sociale che influenza l’opinione pubblica europea, rimasta annichilita dalle scene di annientamento totale di file interminabili di bare e corpi chiusi nei sacchi di plastica. Il grande battage mediatico nazionale e internazionale, seguito dall’indignazione popolare, ha conseguenze politiche. “Solo uno shock può trasformare il politicamente impossibile in politicamente inevitabile” si legge nel famoso saggio “Shock Economy” di Naomi Klein (Rizzoli, 2007).
Il Corriere della Sera del 10 ottobre dà notizia di uno degli effetti politici sull’onda dell’emozione popolare per la strage:

Corriere della Sera 10 ottobre 2013
Corriere della Sera 10 ottobre 2013

Non a caso la fotografia delle bare nell’hangar dell’aeroporto di Lampedusa viene associata alla notizia sulla “brusca virata del governo” in tema di immigrazione rispetto alla legge Bossi-Fini con l’approvazione da parte dell’esecutivo guidato da Enrico Letta (PD) di un emendamento presentato dal movimento 5 Stelle per abolire il reato di clandestinità. L’ex ministro Maria Stella Gelmini twitta: “ma siamo impazziti?”
A Lampedusa sono accorsi l’allora presidente della Commissione europea Manuel Barroso, che affermò: ”Apprezzo molto il fatto di essere venuto qui oggi perché una cosa è leggere i servizi o guardare la tv, un altro è essere sul posto e vedere la sofferenza e l’indignazione: quelle 100 bare non usciranno mai dalla mia mente, è qualcosa che non dimenticherò mai. Le bare di bambini, di madri con i loro figli, una che aveva appena partorito, mi hanno scioccato nel profondo e rattristato moltissimo. Oggi saranno stanziati 30 milioni di euro aggiuntivi per l’Italia. Ma dobbiamo fare di più con gli stati membri”.
L’allora Presidente del Parlamento Europeo Martin Schulz disse: “Nel silenzio di quest’aula si mescolano le grida dei bimbi che hanno visto annegare i genitori, dei genitori che non hanno potuto salvare i figli e di chi si è perso nel mare quando era vicino alla costa del continente che doveva dare salvezza e speranza. Il continente più ricco del mondo”, ha aggiunto, non deve “discutere di denaro” ma “ha l’obbligo di accogliere chi vi cerca rifugio”. E ancora l’allora commissario all’immigrazione Cecilia Malmstrom, affermava: “Chiederò il sostegno politico e le risorse necessarie” per lanciare questa “grande operazione” che “contenga tutto il Mediterraneo” e per “salvare più vite”.

La Repubblica 10 ottobre 2010
La Repubblica 10 ottobre 2010
La Repubblica 5 ottobre 2010
La Repubblica 5 ottobre 2010

La Repubblica del 5 ottobre 2013 pubblica una foto delle proteste degli abitanti dell’isola e dei migranti sotto una grande croce. Una manifestazione in nome della ‘pietas’ cristiana e delle parole del Papa, la cui visita pastorale avvenuta poco tempo prima, è stata un momento molto importante sia per i lampedusani, sia un messaggio rivolto all’Europa sulle tragedie del mare. Non a caso, il quotidano sceglie di mettere in evidenza in questa pagina proprio le parole del parroco: “mentre a Roma si discute, qui si muore”.
Da Lampedusa gridano: “gli immigrati vogliamo accoglierli vivi, non morti”, mentre l’articolo sottolinea che le piazze del piccolo centro abitato sono ormai “un set televisivo” a cielo aperto. Da Repubblica del 10 ottobre, prendiamo la significativa immagine del primo ministro italiano, uomo che ha più volte rimarcato con i gesti la sua fede cattolica, mentre si inginocchia davanti alle bare dei bambini. “Assassini, buffoni e vergogna” hanno gridato i lampedusani all’indirizzo delle più eminenti cariche istituzionali italiane ed europee presenti sull’isola quel giorno. Emergono altri particolari raccapriccianti come quello di una neo-mamma di appena venti anni incinta di sette mesi che ha partorito mentre annegava e il cui corpo è stato ritrovato assieme a quello del piccolo, ancora attaccato con il cordone ombelicale. Nella pagina si sottolinea in vari momenti che è “una tragedia europea” e che Lampedusa è “l’avamposto dell’immigrazione del terzo millennio”. Nel giorno delle contestazioni arriva dunque una prima risposta del governo: verrà abolito il reato di clandestinità, davanti al paradosso, sottolineato dalla stampa come “disumano”, che i superstiti devono essere iscritti pro-forma nel registro degli indagati della procura di Agrigento in quanto immigrati irregolari.

Subito dopo la strage, il governo italiano ha dato il via all’operazione “Mare nostrum”, per il rafforzamento del controllo in mare nel soccorso dei migranti in difficoltà. A fine 2014 il nuovo governo ha annunciato la fine dell’operazione. Mare Nostrum è stata una parentesi di un anno, dettata dall’emozione, non una vera inversione di rotta sulle politiche di gestione delle frontiere. Lo dimostra il fatto che è stata chiusa, nonostante lo straordinario successo del salvataggio di 170mila persone. A pesare, sono state le argomentazioni dei costi troppo alti, la retorica dell’invasione di profughi (alimentata dai media) che ha sottratto consenso elettorale alle forze di governo e una pressione simile da parte degli altri Stati europei, sempre sotto il timore di una perdita di consenso nell’opinione pubblica. In realtà, fin dai primi momenti, vediamo che più delle responsabilità collettive e politiche si cercando quelle individuali e penali. Si sbatte in prima pagina il “mostro”, cioè lo “scafista”. Resta sullo sfondo il fatto che alle origini del contrabbando o traffico di esseri umani c’è il proibizionismo delle frontiere, ovvero l’impossibilità di accedere a canali legali per mettersi in salvo in Europa. Per questo l’Italia è sempre più una “terra di transito” per i rifugiati, che dopo lo sbarco si dirigono verso altri Paesi europei (Cfr scheda Gli scomparsi).

Corriere della Sera 4 ottobre2011
Corriere della Sera 4 ottobre2011

Lo scafista diventa il nemico pubblico numero 1. Il 4 ottobre, il Corriere associa al racconto del dramma in corso, un dossier in cui dedica ampio spazio al business dei “trafficanti di merce umana”. In alto ci sono profughi in fila in attesa di un pasto. L’idea veicolata è di una massa sterminata di disperati: della fila non vediamo inizio né fine. Lo scafista è descritto come il più abietto degli esseri umani. Negli anni in realtà si è spesso visto che soprattutto nella rotta Libia-Lampedusa, il cosiddetto “scafista” può anche essere un semplice passeggero con nozioni minime di navigazione che si è preso l’onere di guidare il gommone o la barca. “Anche l’Olocausto del terzo millennio ha i suoi kapò” dice la Stampa del 9 ottobre. È il giorno in cui a Lampedusa sono attese le autorità europee. È stato identificato il responsabile, da indicare all’opinione pubblica. È lui, il “white man” o il “capitano”, il tunisino Khaled. È stato individuato grazie alle testimonianze dei sopravvissuti. “Il più grande disastro nel Mediterraneo dal dopoguerra ricade oggi su di lui”. Sembra quasi un parallelo con la vicenda del comandante Schettino e della Costa Concordia. Ma se lì le responsabilità sono individuali perché si trattava di una crociera, qui si sta parlando di un fenomeno che muove mafie, organizzazioni criminali e molto altro.

La Stampa  9 ottobre 2011
La Stampa 9 ottobre 2011

“L’arresto dello scafista” è il solito impiegato che diventa capro espiatorio, piccolo ingranaggio di una tratta colossale” spiega al giornalista Fulvio Vassallo Paleologo, giurista dell’Università di Palermo. Niente di nuovo all’orizzonte. Compresa la classica attribuzione di colpe al “mare” nella cornice di un destino ineluttabile contro cui nulla si può fare.

La Stampa 12 ottobre 2010
La Stampa 12 ottobre 2010

La Stampa del 12 ottobre 2013, in questo articolo, ne parla senza mai approfondire il problema delle frontiere. Il “mare di pace” si è trasformato in una “distesa di croci senza nome”. In realtà, si dice, quella della pace è solo retorica, perché il Mediterraneo è un “mare di morte da sempre, da secoli prima che i barconi di migranti si rovesciassero come gusci di noce”, risalendo nel tempo fino alla “guerra corsara tra cristiani e musulmani”. Una sorta di maledizione insomma. Il blog Fortress Europe viene citato solo per le statistiche del ‘cimitero’ e non per le discussioni sulle politiche della Fortezza Europa.

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