di Raffaella Cosentino
Vediamo con il settimanale L’Espresso del 22 gennaio 2015, che non solo l’invasione dei migranti diventa un problema di sicurezza, ma anche, all’opposto, la loro scomparsa o fuga.
E nella versione online presenta un video di 4 minuti che mostra le immagini di questa “fuga” senza alcun commento. Il video in questione è stato ripreso da molti servizi televisivi, come quello andato in onda sul Tg di La7:
Un’immagine fuorviante. L’immagine pubblicata in copertina da L’Espresso come prova di quanto si dice nel titolo del reportage di Fabrizio Gatti (“Migranti, in centomila sono scomparsi. Dopo gli sbarchi sono fuggiti in massa”) è in realtà al centro di un grande malinteso che porta la comunicazione di questa notizia a essere in gran parte fuorviante. Il servizio del settimanale italiano vuole raccontare un fenomeno reale, quanto in realtà già ben conosciuto, sia dai media sia dalle istituzioni.
La grande fuga dopo lo sbarco. Mentre bruciamo miliardi per l’accoglienza. Senza riuscire ad aiutarli, né a controllarli. Cosi in 104.750 sono sfuggiti ai controlli. Scappano anche davanti ai militari. Che non intervengono: in esclusiva le immagini di Bari (da L’Espresso del 22 gennaio 2015)
La fotografia di copertina e il video pubblicato sul sito sono efficaci perché mostrano dei migranti che scavalcano la recinzione di un centro con le sbarre, quello del capoluogo pugliese, e si allontanano indisturbati davanti a una camionetta dei militari che non fa nulla per impedirglielo. Questo, stando all’articolo e al titolo, dovrebbe essere il momento in cui i migranti sbarcati scappano dai centri d’accoglienza senza essere stati identificati, la prova regina. Ma in realtà a Bari questo non succede. Il centro in questione è il C.a.r.a. (Centro di accoglienza per richiedenti asilo) ed è un luogo aperto, non chiuso come sembrerebbe dalle immagini che riprendono la recinzione sul retro e non l’ingresso principale. Se il lettore potesse vedere la porta principale del centro, scoprirebbe che è aperta di giorno. In realtà i migranti che sono nel Cara sono stati tutti identificati e si trovano lì perché hanno presentato richiesta d’asilo e attendono l’esito dell’iter della domanda. Non si tratta quindi delle persone fuggite dopo lo sbarco perché non vogliono rimanere in Italia come rifugiati.Sulle distinzioni fra i centri aperti e quelli chiusi (o di detenzione/ espulsione ed identificazione) confronta le voci di Parlare Civile (Cara / Cie). Mentre sul motivo per cui centomila persone fuggono per non essere costretti a rimanere per tutta la vita nel primo paese in cui gli sono state prese le impronte digitali, rimandiamo al regolamento di Dublino.
La fotografia de L’Espresso “testimonia” che i migranti fuggono dal Cara, ma chiunque si occupi di immigrazione sa che dal Cara si può entrare e uscire senza problemi. Vengono fotografati quelli che scavalcano la recinzione. Ma lo fanno perché dal retro possono prendere il bus per arrivare a Bari centro, invece dall’ingresso principale si trovano in mezzo al nulla, nei campi brulli di un’area molto vasta dentro la base dell’aeronautica militare. Nel capoluogo pugliese se ne parla da anni, perché passando da dietro, da questa “scorciatoia”, negli anni diversi migranti sono stati investiti e uccisi dai treni. I binari della ferrovia vi passano accanto.
“La camionetta dell’esercito con i due soldati di ronda arriva puntuale – scrive Gatti - Davanti ai loro occhi, sette tra africani e asiatici non si scompongono. Scavalcano i quattro metri e mezzo di recinzione. Scappano dal Cara di Bari, il Centro di accoglienza per richiedenti asilo…I militari guardano e non si fermano. La camionetta tira dritto, sempre a passo d’uomo. Sono le 10.30 di mercoledì 14 gennaio. La grande fuga continuerà per tutta la mattinata. Ma era così anche dieci minuti fa, un’ora fa, stamattina presto, stanotte, ieri sera, ieri pomeriggio, ieri mattina. Decine e decine di stranieri fuggono a ogni ora del giorno e della notte dal centro che dovrebbe registrare la loro presenza in Italia”. (da L’Espresso del 22 gennaio 2015)
Un’ informazione dai toni allarmistici. Il reportage dell’Espresso, e i servizi televisivi che ne sono scaturiti, si inseriscono nel filone dell’allarme per il terrorismo islamico dopo gli attentati di Parigi a Charlie Hebdo e al supermercato ebraico del 7 gennaio 2015, commessi da giovani cittadini francesi, figli di immigrati, indottrinati dal radicalismo di Al Qaeda nello Yemen e del gruppo Stato Islamico. Ed ecco che anche nella fuga di chi, dopo lo sbarco, ha usato l’Italia come terra di transito per raggiungere i familiari in Europa, si intravede il pericolo del terrorismo. In poco tempo, da un lato, sui media italiani si grida all’allarme per lo “spreco” di risorse pubbliche nel salvare e accogliere centinaia di migliaia di persone. Dall’altro si fomenta la paura degli attentati, quando le stesse persone lasciano il Paese e non pesano, quindi, sul sistema d’accoglienza italiano.
Lo leggiamo nelle parole di Gatti, che parlando dei migranti del centro di Bari scrive frasi come queste:
“uno di loro è vestito da talebano: caffetano bianco, berretto afghano sulla testa, barba e capelli lunghi. Forse è per questo che per uscire non passano dalla portineria”. Ma anche: “Perfino gli imam, quelli autoproclamati che nessuna moschea ufficiale riconosce, entrano a predicare il loro Islam. E, quando hanno finito, escono indisturbati. Eccone due. Si calano dalle sbarre di ferro del perimetro, lato Sud. La camionetta dell’esercito riappare dietro di loro e, puntuale, tira dritto. Sempre a passo d’uomo. Lo Stato c’è. Ma è di burro. Non solo a Bari”.
O, ancora:
“Accoglienza all’italiana. La strage di Parigi ha fatto risuonare l’allarme terrorismo. I rifugiati non sono criminali. Ma in tempi di massima allerta, registrare l’identità di chi entra in un Paese è il minimo indispensabile. Per avere il quadro della situazione, prevenire i rischi. Ecco, già questo elementare calcolo è impossibile: perché nel 2014 ben centomila dei 170 mila profughi arrivati in Italia sono scomparsi da ogni forma di monitoraggio. Fantasmi di cui non si sa più nulla. Nella maggioranza dei casi, nemmeno la vera identità: soccorsi in mare e contati, una volta arrivati a terra sono stati lasciati fuggire. Proprio come a Bari. Quasi sempre prima di essere identificati”. (da L’Espresso del 22 gennaio 2015)
La notizia appare molto forzata proprio da un punto di vista delle immagini mostrate a corredo. Stigmatizzante verso i richiedenti asilo, accusati velatamente di essere estremisti musulmani ma senza prove, solo sulla base di un sospetto. Se accadesse il contrario di quanto descritto dalle fotografie de L’Espresso, allora ci sarebbe una notizia: se in un centro di accoglienza che per legge è aperto per gli ospiti, i militari intervenissero con la forza in pieno giorno per tenerli segregati dentro, questo sarebbe da riportare sui media in primo piano per violazione dei diritti umani.