di Raffaella Cosentino
Costruzione mediatica di un locus horribilis. Lampedusa è ormai un tòpos del racconto dell’immigrazione in Italia, ma negli ultimi anni, almeno dal 2011 in poi, è passata da luogo dell’accoglienza (il cosiddetto ‘modello Lampedusa’) a una sorta di locus horribilis, un inferno dantesco. Questo perché il racconto dell’evento mediatico degli ‘sbarchi’ è avvenuto con crescente pathos narrativo
I giornalisti hanno fatto ricorso a un lessico bellico e a un approccio allarmistico come testimonia una ricerca Msf/Osservatorio di Pavia. Funzionale a questa costruzione narrativa è l’associazione reiterata fra le immagini che arrivano da Lampedusa e una serie di termini quasi militari, come:
- invasione (“l’inizio di quella invasione da cui parla da settimane il ministro”, “Lampedusa aspetta che tutto torni come prima, prima dell’invasione)
- occupazione (“Lampedusa ormai interamente occupata dagli immigrati tunisini”);
- tregua (“dopo una tregua durata una decina di giorni, l’isola ripiomba nell’emergenza”, “In meno di 24 ore, dopo 10 giorni di tregua, sono sbarcati in 1700”);
- bomba, polveriera, miccia, esplosione (“bomba immigrati”, “Lampedusa è una bomba e può scoppiare”,“situazione esplosiva”, “questo molo è una polveriera”, “la miccia che fa esplodere la rabbia”);- evacuazione e liberazione dell’isola (“Entro due giorni l’isola sarà liberata”, “l’evacuazione di Lampedusa, o meglio la liberazione come la chiamano qui, è cominciata”).
“Nel corso degli anni Lampedusa è diventato un luogo dell’immaginario, anziché un posto reale…Perché a Lampedusa non si racconta quello che succede realmente, ma un soggetto televisivo. Con effetti politici sempre efficaci”. (Antonello Mangano, scrittore)
Il 3 ottobre segna purtroppo un passaggio ideale dal “mare cimitero” all’isola cimitero. “Lampedusa è il cimitero per tutti quelli che non ce l’hanno fatta ad arrivare alla fine di quel viaggio” si sente dire durante il Tg1 delle 20 andato in onda il 3 ottobre. Ma anche su La Stampa del 12 ottobre Lampedusa viene descritta come un supplizio dantesco senza fine: “una comunità piegata dal dolore, avvolta nell’odore di morte, sgomenta di fronte all’eterno ritorno del sempre uguale. Non fai in tempo a salvarli che ne approdano altri. Non fai in tempo a recuperare i corpi che il mare si riempie ancora di sangue”.
Un luogo simbolico. Per comprendere quanto l’isola abbia ormai perso il suo significato geografico per indicare un luogo simbolico, bisogna considerare che nel 2014 i migranti non sono più arrivati a Lampedusa. L’operazione Mare Nostrum della Marina militare italiana, avviata dopo il naufragio del 3 ottobre 2013, interveniva in acque internazionali per i soccorsi e poi le persone venivano sbarcate direttamente in Sicilia. Solo nel 2015, quando Mare Nostrum ha lasciato il posto all’operazione europea Triton, che ha ridotto il raggio d’azione e che è volta al controllo delle frontiere più che al soccorso, Lampedusa è tornata a essere un porto cruciale di salvezza per i migranti. Eppure quasi nessuno si è accorto di questi cambiamenti. L’ “Emergenza Lampedusa” è un’etichetta evergreen.
Ad esempio, il Tg3 delle 12 del 15 maggio 2014 mostra, dice il conduttore, “nuove immagini della tragedia avvenuta qualche giorno fa nel Canale di Sicilia, il naufragio di un’imbarcazione che ha 17 vittime”. Ma in realtà il servizio è su:
“i corpi intrappolati in fondo al mare nel relitto a poca distanza da Lampedusa”
relativo alla “più grande tragedia dell’immigrazione con 366 morti – spiega l’autrice - Era il tre ottobre del 2013. Uno zainetto, una fotografia, effetti personali di chi è seppellito nell’immenso cimitero del Mediterraneo. Quella distesa di bare ha commosso l’Europa e il mondo ma non è finita” (dal Tg3 delle 12 del 15 maggio 2014)
Si tratta quindi delle immagini girate dai sommozzatori delle forze di soccorso italiane e fornite da loro, in esclusiva, a Repubblica.
Scene drammatiche e strazianti che spuntano sette mesi dopo il naufragio e vengono riproposte in televisione come attuali, come se fossero quelle relative a un fatto appena accaduto. Il conduttore del Tg dice una cosa, il servizio un’altra. Si crea confusione nell’opinione pubblica, con l’effetto, pericoloso anche per le conseguenze sociali sul turismo a Lampedusa, di fare intendere che il mare dell’isola è ancora pieno di morti.
In conclusione, se i morti non esistevano proprio negli anni precedenti, si è passati a una loro sovra-rappresentazione, in cui non manca mai l’elemento “Lampedusa”, riecheggiata come una sorta di inferno dantesco, anche quando nei periodi di calma, sull’isola non sono in corso sbarchi (come nell’episodio qui sopra) ed è solo un paradiso per turisti.