Sbarchi e accoglienza

Gli esempi positivi

di Raffaella Cosentino

Non ci sono allarmismi nel reportage della testata tedesca Allgemeine Zeitung, tradotto e pubblicato in Italia da Internazionale il 14 febbraio 2011.

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Internazionale 14 febbraio 2011

Anche la classica fotografia dei migranti in attesa di sapere quale sarà il loro destino non assume contorni minacciosi grazie alla cornice interpretativa in cui è inserita dal testo: “Nelle ultime settimane migliaia di migranti sono sbarcati sull’isola italiana. Ad attenderli c’è una situazione di grande confusione e d’incertezza per il futuro”. Il reportage focalizza l’attenzione non sulla presunta invasione, di cui il giornalista riferisce prendendo però le distanze (Nelle prime tre settimane dopo la fuga del presidente Ben Alì dalla Tunisia gli sbarchi erano stati relativamente pochi …4500 in pochi giorni, “facendo parlare di un preoccupante esodo dei profughi”). Il modo di raccontare è quello usato a livello internazionale, cioè si parte da una storia per poi allargare il focus a tutta l’isola e al fenomeno nel complesso, di cui l’articolo riesce anche a descrivere le cause.Choukri è “un ragazzo magrolino” di 27 anni che sta davanti al centro di accoglienza di Lampedusa con il cellulare in mano, da cui mostra all’inviato tedesco il video di quando hanno esultato sul barcone perché avevano avvistato l’Italia. Il primo impatto comunicato al lettore è quindi la gioia per la salvezza. Nell’articolo si dice che Choukri “è stato sistemato per qualche giorno nel museo”, a causa del “ritardo nell’apertura del centro d’accoglienza da parte del governo di Roma”. L’occhio del corrispondente dell’ Allgemeine Zeitung da un lato coglie le responsabilità governative nella lentezza dei trasferimenti dei migranti verso la penisola e sembra suggerire che il vero assalto a Lampedusa è quello dei media (“i giornalisti stringono d’assedio il centro d’accoglienza”). Dall’altro, evidenzia la buona disposizione d’animo dei lampedusani, senza celare al lettore anche i timori degli abitanti verso migliaia di sconosciuti liberi di muoversi su un’isola così piccola. Il racconto di Friedrich Schmidt è interessante perché fornisce tutti gli elementi della situazione a Lampedusa senza dover ricorrere a commenti dai toni apocalittici come quelli visti sulla stampa italiana, senza dover parlare di “guerra” o di “situazione esplosiva”, senza alcun tipo di esagerazione.

Il giornalista non manca di dare voce ai migranti attraverso le parole del giovane Choukri. Il lettore apprende così quali sono le motivazioni che hanno spinto migliaia di tunisini a lasciare la loro patria appena si è aperto un varco nella frontiera grazie alla rivoluzione: i turisti che non arrivano più a causa dell’instabilità sociale e politica; le aziende che hanno chiuso; la corruzione e le tangenti da pagare per avere un posto di lavoro malpagato. Su tutto, prevale la considerazione che ci vorrà molto tempo per rimettere le cose a posto e chi ha urgenza di vivere, lavorare e mantenersi, semplicemente non può aspettare.

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Tg2 Costume e Società il 27 giugno del 2013

L’inviato del Tg2 Valerio Cataldi racconta gli sbarchi attraverso la storia di un salvataggio realizzando un servizio estremamente corretto nelle immagini e nelle parole, pur restando perfettamente inserito in quello che è il racconto offerto da un telegiornale. Stiamo parlando di un video andato in onda prima della strage del 3 ottobre e prima dell’operazione Mare Nostrum. È stato trasmesso dal Tg2 Costume e Società il 27 giugno del 2013. In quel momento pochi italiani sanno che gli “sbarchi” sono in realtà operazioni di soccorso ai naufraghi. Il merito del servizio è di fare vedere esattamente questo aspetto, riuscendo a creare empatia con la sorte dei naufraghi, perché ci si concentra sulla storia individuale di una donna, Rose. Il montaggio alternato fra l’intervista realizzata nel centro di soccorso e prima accoglienza di Lampedusa e l’audio originale della chiamata di Sos al comando operativo della Guardia Costiera, riesce a legare bene la storia del singolo con il fenomeno in generale. Non si fanno vedere, né si parla di masse minacciose o di ondate. Lo spazio centrale è occupato dalle emozioni dell’intervistata per i pericoli del viaggio in mare e per la sofferenza di chi è dovuto partire lasciando in Libia gli affetti (il marito, nel caso di Rose), senza sapere se e quando sarà possibile riunirsi. In questo servizio le scene apocalittiche sono quelle delle condizioni meteomarine affrontate dall’imbarcazione carica di migranti, in balia di onde molto alte e quasi sul punto di spezzarsi.

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Viene usata una parte della telefonata originale di richiesta di soccorso in cui si descrivono le condizioni delle persone a bordo, fra cui sei donne incinta e sei bambini che stanno tutti molto male. “Pensavamo che la nostra vita fosse finita – dice Rose nell’intervista- ci hanno salvati appena in tempo”.
Ci sono le voci di chi compie le operazioni di soccorso, anche sulle sensazioni provate nel salvare i migranti: “la cosa più appagante del nostro mestiere è avere portato tutti in salvo dopo eventi del genere”. Dal punto di vista della cronaca dei fatti, la ricostruzione della dinamica del salvataggio e delle condizioni di viaggio si serve dell’utilizzo di immagini originali fornite dai migranti e dalla Guardia Costiera. Il giornalista sceglie di fare un passo indietro in termini di protagonismo, rinunciando a essere presente in voice over o in uno stand up. Tuttavia la mediazione tra i fatti e lo spettatore è molto forte, perché consiste nella scelta delle interviste, nel modo di realizzarle, nelle domande fatte e soprattutto nel tipo di montaggio audio-video.

“Questo è un servizio realizzato prima del naufragio di Lampedusa, prima di Mare Nostrum, sembra tantissimo tempo fa. Anche se quella condizione in cui li andiamo a prendere a 80 miglia ritorna di attualità perché Mare Nostrum è finito e quindi si riparte dal via – ci spiega Valerio Cataldi - Quel servizio è stato costruito sul racconto di Rose, è un parallelo tra salvatore e salvato, con le immagini realizzate sulle barche dai migranti stessi e con la base di audio delle chiamate di soccorso che serve a testimoniare la drammaticità dell’evento”. Secondo l’inviato del Tg2, vincitore nel 2014 del premio Ilaria Alpi, ci sono delle accortezze che i giornalisti dovrebbero prendere per evitare un approccio massificante e allarmista nelle cronache degli sbarchi.

“Credo che raccontare la migrazione chiamando per nome le persone sia la cosa più importante che va fatta sempre, anche magari utilizzando nomi falsi quando è necessario tutelare l’identità dei rifugiati – dice Cataldi - perché altrimenti si spersonalizza e rischiamo di essere di fronte a dei numeri e basta, senza avere la possibilità di entrare in contatto con queste persone. Costruire l’empatia è fondamentale per capire che è necessario andarli a soccorrere”.


Cataldi ha seguito per la Rai anche tutta l’operazione Mare Nostrum. “Su una nave militare che aveva appena soccorso un barcone, sono saliti a bordo in gran parte siriani e la cosa straordinaria è che ognuno di loro ha estratto dai calzini, da dentro la maglietta, appeso al collo, un sacchetto sigillato con dentro il passaporto e poi hanno iniziato a scartare questo pacchetto e si sono messi tutti in fila, come se fossero al check-in di un aeroporto - racconta il giornalista - era un’immagine impressionante che dimostrava in qualche modo che queste persone stanno viaggiando. Non è una fuga e basta, è un viaggio che ha un inizio e una fine. I siriani hanno il passaporto, anche se non hanno la possibilità di farci mettere sopra un visto per attraversare il Mediterraneo. Questa per me è stata una delle immagini più forti dell’epoca Mare Nostrum”. Pochi mesi dopo la messa in onda del servizio su Rose, Valerio Cataldi, all’indomani della strage di Lampedusa, ha fondato con altri colleghi e insieme ad attivisti e migranti, il Comitato Tre Ottobre per chiedere l’istituzione di una giornata della memoria per le vittime della frontiera e l’apertura di corridoi umanitari per chi fugge dalle guerre. “Parlare di immigrazione ci costringe a prendere una posizione – continua il cronista del Tg2 - per fare fronte ai luoghi comuni, evitando che si ripetano episodi come quello di Tor Sapienza, bisogna cercare di fare capire la realtà di questo fenomeno”. Tornando al servizio sul salvataggio di Rose, Cataldi commenta: “il messaggio era quello di fare vedere anche un volto che piange, non per suscitare la lacrima in chi guarda, ma per creare un’empatia che possa anche essere rassicurante nei confronti di chi sente parlare di invasione e si trova poi invece davanti a delle persone normali, con dei problemi straordinari che li costringono a scappare, però con le quali è possibile creare una sintonia e di cui non bisogna avere paura”.

Il buon servizio realizzato da Cataldi tiene dunque conto della narrazione allarmistica prevalente sugli sbarchi e sulle migrazioni irregolari, non per accordarsi ad essa, ma per tentare di cambiarla, dopo aver constatato che si tratta di una lettura ideologica che falsa la realtà. Anche dietro un semplice pezzo di cronaca, fatto in modo veloce per la tv, ci può essere un’ampia riflessione sulle conseguenze dell’informazione di massa sulla realtà della convivenza civile. Un altro servizio di Valerio Cataldi mandato in onda dalla stessa edizione del Tg2 Costume e Società subito dopo quello sui salvataggi, crea il ponte fra il tema degli sbarchi e quello dell’accoglienza. In questo caso, la prospettiva “numerica” viene evidenziata per spiegare l’inefficienza del sistema di accoglienza. Il giornalista mostra con le immagini la realtà rispetto a quello che dicono gli intervistati sul funzionamento del centro di contrada Imbriacola e sulle procedure di identificazione. Pur fornendo le cifre e spiegando la situazione di sovraffollamento del Cspa di Lampedusa, l’inviato del Tg2 non tralascia di mostrare il lato umano e la spiegazione del perché i migranti arrivano sull’isola in condizioni precarie. L’attacco del servizio è sul dettaglio dei piedi nudi e dei pantaloni bagnati di un ospite del centro. In questo caso il giornalista entra in campo e lo si vede andare nel centro di accoglienza. La presenza di Cataldi davanti alla telecamera assolve alla funzione ‘investigativa’ e di verifica sul campo che la stampa dovrebbe avere. Si parla dell’ avamposto Lampedusa (scritta in sovrimpressione). I profughi sono seduti in attesa di essere identificati. “Nell’arco di 24 ore il centro è passato da 23 a 1300 presenze, ora sono poche centinaia grazie a un piano di trasferimento imponente” dice l’autore del servizio. Mentre si intervista il responsabile della struttura, si vedono i migranti in lontananza dietro un’inferriata. L’immagine contrasta palesemente con quanto sostiene l’intervistato: “vivono qua e sono abbastanza liberi”. Una donna che indossa il velo si copre il capo per la fotografia segnaletica. Il giornalista segnala il disagio della donna e che “a ogni viso viene associato un numero, un’impronta digitale”. Questa parte del racconto si concentra sulle procedure di identificazione che avvengono fin dall’arrivo a Lampedusa. Si mostrano i prelievi delle impronte digitali con l’intervista a un responsabile della questura di Agrigento sul come gli immigrati tentino di camuffare le proprie impronte digitali. “Si vede che c’è uno strato di colla” dice l’intervistato. A questo punto il giornalista assolve alla sua funzione di svelamento della realtà, spiegando che lo fanno per poter proseguire il viaggio verso il Nord Europa “dove sanno di trovare una casa e maggiori opportunità”.

Il tema dell’identificazione viene quindi collegato a quello della cattiva accoglienza. Il fatto che si tenta di sottrarsi alla rilevazione delle impronte non è attribuito alla scelta del singolo individuo, che vorrebbe sottrarsi ai controlli restando irregolare sul territorio europeo, ma alle lacunose politiche governative sul sistema di accoglienza e di reale inclusione dei rifugiati. Sui primi piani dei visi di uomini e donne, il giornalista osserva: “ognuno ha la sua storia di separazione e di paura”. Un bambino gioca all’aperto indossando guanti da chirurgo. Segue l’intervista a un avvocato dell’Ong Save the Children sulla situazione del bambino, giunto sull’isola insieme alla madre, sul fenomeno dei minori non accompagnati e sullo stato d’animo dei bambini che giungono in Italia (“tutti sono felicissimi e percepiscono un senso di libertà e di sicurezza, che non c’è nessuno che li può uccidere”). Le parole dell’operatrice contrastano con le immagini dei ragazzi che giocano a pallone rinchiusi dietro l’inferriata del centro. Anche qui, interviene il giornalista a spiegare il motivo di questa scena: “per i minori non accompagnati si fa fatica a trovare un posto fuori, per questo sono loro gli ultimi a partire”. Si passa poi al porto per vedere il momento del trasferimento dei migranti. L’inviato sottolinea il rischio di “un altro dolore, l’ennesima separazione” quando le famiglie vengono trasferite. Come l’Italia e Lampedusa vedono i migranti è noto, ma, al contrario, come vedono i migranti l’approdo sull’isola? È la sindaca Giusi Nicolini a rispondere a questa domanda, offrendo una prospettiva originale e un messaggio di speranza.

“Lampedusa è il posto dove comincia l’Europa, un altro mondo, un’altra storia per loro”, dice la prima cittadina. “Lampedusa è solo una zattera in mezzo al mare, dove trovare un paio di scarpe per continuare a camminare” conclude l’autore del servizio, mentre le immagini si concentrano sul dettaglio delle scarpe.(dal Tg2 costume e società 27 giugno 2013)

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