di Andrea Pogliano
La criminalizzazione degli immigrati e la creazione di stereotipi etnici. Il tema della sicurezza come tema politico che investe le città italiane accompagna con costanza il discorso mediale dell’immigrazione dall’inizio degli anni Novanta, ovvero dai primi sbarchi di profughi albanesi e dalla politicizzazione del fenomeno migratorio sulla scia della prima legge che lo regolamenta (legge Martelli), continuando con il Testo Unico del 1998 (la legge Turco- Napolitano). Molte ricerche hanno messo in luce l’importanza che il discorso dell’(in)sicurezza urbana ha assunto nel racconto mediale dell’immigrazione, specialmente sui media quotidiani.
Anzi, si può dire che il fenomeno della criminalizzazione dei migranti è un fenomeno sul quale si ritrova il più largo consenso nell’ambito dello studio dei media in Italia. La cronaca di episodi di violenza ha coperto negli anni una quantità assai rilevante dell’agenda mediale sul tema immigrazione: il fenomeno della “criminalizzazione degli immigrati” che è andato di pari passo con la creazione di stereotipi etnici. Alcune ricerche sono andate oltre l’analisi del contenuto dei prodotti giornalistici, per mettere in luce alcuni dei meccanismi sociali e produttivi che hanno portato a questa situazione.
In particolare, è stato notato come l’elezione diretta dei sindaci, istituita nel 1993, abbia portato a una crescente campagna elettorale permanente attuata anche a livello locale, molto spesso giocata sui temi della sicurezza, con tutto il corredo di ordinanze, molte delle quali legate alle presenze di immigrati, specialmente nei comuni del Nord Italia. Molti politici hanno rivestito in diverse occasioni i panni dell’ “imprenditore morale dell’insicurezza” (alcuni ci hanno costruito una carriera: il più noto è probabilmente Borghezio), indirizzando a più riprese la narrazione mediale sul tema dell’insicurezza causata dall’immigrazione e contribuendo a generare, in alcuni casi specifici, delle “ondate di panico morale”.
L’immigrato come nemico della sicurezza. Per panico morale si intende un fenomeno complesso, che vede coinvolti alcuni imprenditori morali, i media e la formazione di un’opinione pubblica coesa, che è in larga parte il prodotto dei racconti dei media e delle mobilitazioni prodotte dall’azione degli imprenditori morali. Al centro dei fenomeni di panico morale c’è la costruzione di un nemico pubblico che viene stigmatizzato e al quale vengono attribuite delle qualità spregevoli che urtano la morale pubblica. I panici morali sono per natura volatili (riempiono le cronache in modo intenso per poi sparire nel nulla all’improvviso), e in molti casi si ripresentano in modo seriale nel tempo, costituendo una parte interessante di quel fenomeno curioso che possiamo chiamare la “memoria giornalistica”, impostata su canovacci che diventano prototipi o “pacchetti” pronti all’uso. (Vedi Oltre Hina e Sanaa, il pacchetto è il messaggio)
E’ noto che il discorso dell’immigrato come nemico della sicurezza ha avuto i suoi referenti prima negli albanesi e poi nei romeni. Un altro “gruppo” che riveste questo ruolo nelle cronache è quello dei Rom. Anche i migranti di origine africana sono stati spesso al centro di fenomeni di “criminalizzazione” legati al tema della sicurezza urbana, ma la loro presenza non si è mai condensata in veri e propri fenomeni di “panico morale”, come è invece accaduto con gli albanesi negli anni Novanta e con i romeni e i Rom nel decennio seguente.
L’etnicizzazione dei reati. Il fenomeno di criminalizzazione su base etnica è legato a doppio filo a fatti di crimini comuni o a fatti di violenze sessuali. Il continuo richiamo alla nazionalità del criminale, operata dal giornalismo italiano in modo assai trasversale, è – insieme alla confusione costante tra clandestini e richiedenti asilo (vedi Sbarchi ) – al cuore stesso della “reazione” che ha trovato nella Carta di Roma il suo documento centrale.
Il caso della violenza sessuale su una giovane ragazza, avvenuto al parco della Caffarella a Roma a metà febbraio del 2009 è interessante e significativo nel quadro dell’analisi che qui proponiamo per tre motivi principalmente:
1. Perché mostra il legame troppo stretto tra agenda della politica e agenda dei media;
2. Perché indica la confusione tra romeni e Rom nelle cronache;
3. Perché mostra il particolare ruolo che assume l’immagine nei casi di cronaca legati a fatti di criminalità comune o di violenze che coinvolgono soggetti migranti come autori di reati.
I tre motivi vanno pensati come tre aspetti che sono tra loro strettamente connessi. Le esigenze della politica stimolano e legittimano la confusione categoriale prodotta dai media. Tale confusione ha effetti diretti sull’immaginario dell’immigrazione che si costruisce e che contribuisce a fissare un canovaccio anche visivo nella produzione di storie di crimine e violenza legate alle presenze di migranti. Inoltre, lo “stupro della Caffarella costituisce, insieme allo “stupro di Guidonia (provincia di Roma) del 22 gennaio 2009 e all’ “omicidio Reggiani” del 30 ottobre del 2007 (poco più di un anno prima) sempre a Roma, uno dei più mediatizzati e dei più politicizzati fatti di cronaca. L’omicidio di Giovanna Reggiani ad opera di un ragazzo Rom è avvenuto poco prima che iniziasse la campagna elettorale per l’elezione del sindaco di Roma (13 aprile e 27 aprile 2008) che vedeva fronteggiarsi Gianni Alemanno e Francesco Rutelli. Data la straordinaria esposizione mediatica del caso e la stretta connessione operata da subito tra l’omicidio e il “problema immigrati e Rom”, il caso ha giocato – a detta di molti analisti politici – un ruolo centrale nella costruzione dell’agenda di quella campagna elettorale, poi vinta da Alemanno.
Omicidio Reggiani, stupri di Guidonia e della Caffarella. La produzione di un “panico morale” sul tema delle violenze ha dato vita al canovaccio che ha poi portato a replicare sia i temi, sia la quantità di attenzione dedicata dai media ai fatti di Guidonia e della Caffarella. La politica, anche qui, ha giocato un ruolo determinante. Infatti, nonostante non si fosse più in campagna elettorale, sia a livello locale (con Alemanno sindaco), sia a livello nazionale (con Maroni presidente dell’Interno), erano in atto (perlopiù proprio dal 2007/2008) alcune iniziative particolarmente severe che riguardavano i Rom e i “migranti clandestini”.
Era infatti il periodo della cosiddetta “emergenza nomadi” e del “Piano Nomadi” ma anche del “pacchetto sicurezza” e della discussione politico-mediatica sulle “ronde”. Per farla breve, il periodo che va dall’omicidio di Giovanna Reggiani, che passa per le elezioni comunali e che culmina con il “pacchetto sicurezza” è anche il periodo della massima concentrazione di ordinanze dei sindaci e quello dove si assiste in maniera inequivocabile a un “panico morale” nazionale che vede nei romeni e nei Rom i nemici della morale pubblica, indicati dagli “imprenditori morali” e raccontati dai media. In quel periodo, l’agenda della politica travolge quella dei media, imponendo le urgenze, dettando i temi e offrendo le categorie con le quali pensare la “questione sicurezza”.