di Raffaella Cosentino
Gli stereotipi sulle comunità Rom, viste soltanto come dedite al furto e responsabili di crimini abietti come lo stupro e quanto questo tipo di immagine abbia creato consenso attorno a misure governative di discriminazione etnica, quali la schedatura anche dei minori Rom.

Panorama 8 luglio 2008
La condizione di vita nei cosiddetti “campi nomadi” e come viene raccontata quando si verificano fatti che suscitano clamore nell’opinione pubblica, come la morte dei bambini bruciati vivi in una baracca di un campo Rom nella capitale in piena “emergenza nomadi”. Le conseguenze nella vita reale della raffigurazione prevalente delle comunità Rom che ha portato a dei veri e propri “pogrom” moderni, tragicamente numerosi negli ultimi anni in Italia da Sud a Nord.
Sono questi i temi che affrontiamo nella sezione dedicata ai Rom e Sinti, cercando di segnalare qualche esempio anche di buona informazione che tenga conto della discriminazione istituzionale a cui queste comunità sono sottoposte in Italia, in quello che viene chiamato il paese dei campi.
Sono due le raffigurazioni prevalenti.
L’etnicizzazione dei crimini. Da un lato l’etnicizzazione dei reati vale a dire che quando un reato è commesso da un Rom o da un sinto diventa il reato di tutta la comunità e si perde il fondamento dello stato di diritto, vale a dire la responsabilità penale individuale, che, nel caso dei Rom, diventa collettiva. Un meccanismo che in diversi casi ha portato a un’ampia diffusione di notizie false, ad esempio sui supposti rapimenti di bambini da parte di Rom, oppure di stupri inventati.
L’altra raffigurazione prevalente è quella che vede i Rom vivere nei campi ed essere nomadi per indole. L’Italia non conosce i suoi concittadini di origine Rom e Sinta che sono italiani, a volte da generazioni, e conducono una vita normale, perché hanno un lavoro e vivono in appartamenti. Su 150 mila Rom e Sinti, solo 40 mila vivono nei campi, secondo un’indagine della Commissione Diritti umani del Senato.
La maggioranza che abita in case è invisibile sui media, mentre la minoranza che vive nei campi è sovra-rappresentata. Dalla prima indagine voluta dalla Commissione di Palazzo Madama è emersa la reticenza a dichiararsi Rom, a causa della “generalizzata tendenza a legare all’ immagine dei Rom e dei Sinti, ogni forma di devianza e criminalità”.
In una sorta di circolo vizioso lo stigma crea discriminazione e questo rafforza lo stigma sui Rom. Indaghiamo come le immagini diffuse dai media e associate a questa minoranza molto piccola in Italia in termini numerici (lo 0,23% della popolazione) contribuiscano alla ghettizzazione dei Rom.
A livello europeo, le comunità Rom sono la minoranza più numerosa ma anche più discriminata. Da una relazione sulla situazione dei Rom in undici Stati membri pubblicata dall’Agenzia dei diritti fondamentali dell’Ue risulta che un Rom su tre è disoccupato e il 90% vive al di sotto della soglia di povertà.
Si tratta di un popolo di giovani, con alta natalità ma basse aspettative di vita. In Italia la percentuale dei minori Rom e Sinti al di sotto dei 16 anni (45%) è tre volte superiore rispetto alla media nazionale (15%) per lo stesso gruppo di età. Gli ultrasessantenni (0,3%) corrispondono a circa un decimo della media nazionale per lo stesso gruppo di età (25%). Questo a causa delle precarie condizioni di vita.
Una raffigurazione segregante. Dipingerli come nomadi, che amano vivere nei campi e non vogliono integrarsi contribuisce fortemente a tenerli segregati.
Perfino il Papa ha ricevuto nel 2011 i rappresentanti dei Rom da tutta Europa in Vaticano e li ha accolti dicendo: “siete un’amata porzione del popolo di Dio pellegrinante”. Da “pellegrini” a “vagabondi” fino a “nomadi”, gli stereotipi sui Rom che esistono da secoli sono entrati pienamente nel circuito della comunicazione dei mass media visuali.