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13 luglio 2015

 

CATANIA - Arrivano dopo le sei di sera, diretti verso la stazione degli autobus. Giovani, magrissimi, si fermano silenziosi ai bordi della fontana di Proserpina, strabordante d’acqua, intercettando gli sguardi curiosi di una comitiva di turisti asiatici. Per loro, come per decine di migliaia di eritrei giunti sulle coste italiane dal 2013 aoggi, Catania è una tappa fondamentale nel viaggio verso il nord Europa. Un transito che rischia di prolungarsi, facendo impigliare molti, soprattutto i minori, nelle maglie di una rete di trafficanti che, proprio qui, ai piedi dell’Etna, ha un importante snodo operativo.

A raccontarlo è Abraham Tewolde, eritreo di Acireale. Ex guerrigliero per l’indipendenza del suo paese, è oggi impegnato in un’altra battaglia: quella contro i connazionali che, nonostante inchieste e arresti, continuano a lucrare sullo spaesamento e sulla mancanza di informazioni dei giovani eritrei. “Ormai mi conoscono e quando mi avvicino se ne vanno”, racconta, “ma qui i soprusi rischiano di diventare come quelli della Libia; un prezzo salato per chi ha già pagato troppo”. Quasi tutti i giorni Tewolde raggiunge la stazione, cercando, nel suo piccolo, di togliere i migranti dalle mani di chi fa affari sulla loro invisibilità.

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